Archivio | aprile, 2016

LA GUERRA CHE NON SI PUÒ VINCERE (dal titolo di un libro)

29 Apr

(Scritto tempo l’estate scorsa ma sempre attuale. Forzatamente lacunoso per il continuo evolversi delle cose).

Questa è la traduzione in inglese del testo della canzone in ebraico שירת הסטיקר – The stickers song.
È una canzone di protesta composta dallo scrittore di sinistra David Grossman, basata su testi di slogan politici, sociali e religiosi che l’autore ha visto a Gerusalemme. Molti di essi sono famosi e sono stati riprodotti in forma di adesivi sulle automobili.
(This protest song was written by the leftist Israeli writer David Grossman, and it’s basically comprised of various political, social and religious slogans that Grossman saw on the streets of Jerusalem. Most of them are widely known and appear in the form of stickers).

“Entire generation demands peace”1
“Let IDF win”
“Strong people make peace”
“Let IDF smash”
“No peace with Arabs”
“Don’t give them guns”2
“Combat units are the best, bro”
“All recruited, all exempt”3
“There is no despair in the world”4
“Yesha it’s here”5
“Na Nach Nachma Nachman Meuman”6
“No Arabs, no terrorist attacks”
“Bagatz puts Jews in danger”7
“The people are with Golan Heights”
“The people are with transfer”
“The driving test in Yarka”8
“Friend, you are missed”9
“Almighty, we choose you”
“Direct elections are bad”10
“Almighty, we are jealous for you”
“Death to the jealous”11
Refrain:
“How much evil can one swallow?”12
“Father, have mercy, Father, have mercy”
“My name is Nachman and I stut-stutter”
“How much evil can one swallow?”
“Father, have mercy, Father, have mercy”
“My name is Nachman and I stut-stutter”
“Halachic state – the state is gone”13
“The born ones are in luck”14
“Long live the King Messiah”15
“I have trust in Sharon’s peace”
“Hebron – now and forever”
The unborn ones missed out
Hebron is the “City of Ancestors”
Shalom transfer16
“Kahane was right”17
CNN lies
We need a strong leader
“Good job with the peace, thanks for the security”18
“We have no children for needless wars”
“Oslo criminals to the trial”19
We’re here, they’re there
“We don’t abandon our brothers”
“Uprooting of settlements divides the nation”
“Death to traitors”
“Let animals live”20
“Death of values”21.
Refrain:
“How much evil can one swallow”
“Father, have mercy, Father, have mercy”
“My name is Nachman and I stut-stutter”
“How much evil can one swallow”
“Father, have mercy, Father, have mercy”
“My name is Nachman and I stut-stutter”
Kill, destroy, oust, exile,
Exterminate, extradite, death penalty, no fear22
Obliterate, annihilate, crush, eradicate
Everything because of you, friend
• 1. Social-political movement established after the murder of Israeli PM Itzhak Rabin.
• 2. A pacifist poem by Nathan Alterman, 1934, inspired by WWI, especially by the use of chemical weapon.
• 3. Demand of equal conscription to the IDF. Religious (especially orthodox) Jews are exempted from mandatory military service, which is one of the major tension points in Israeli society.
• 4. A quote of rabbi Nachman from Uman.
• 5. Yesha is an acronym for Council of Jewish Settlements in Judea, Samaria and Gaza.
• 6. A kabbalistic formula based on the four Hebrew letters of the name Nachman, referring to the founder of the Breslov movement, rabbi Nachman from Uman.
• 7. Bagatz is an acronym for Supreme Court of Justice. Often accused by the right-wing for being “anti-Israeli”
• 8. Yarka is a Druze village in the North of Israel. A popular place for driving tests, probably because it’s open on Sabbath.
• 9. Referring to the late Yitzhak Rabin.
• 10. In Hebrew “choose” and “elect” are the same word. Hence the world play.
• 11. In Hebrew “zealot, fanatic” and “jealous” are the same word. So this can also be read as “death to fanatics”.
• 12. A sticker referring to the force feeding of ducks to produce foie gras.
• 13. Halakha is the Jewish religious law.
• 14. The motto of Israeli band Fools of Prophecy.
• 15. King Messiah is the title given to Lubavitcher Rebbe by followers of Hasidic movement of Chabad messianism.
• 16. The word “shalom” can mean “hello”, “goodbye” or “peace”. This line may be a referral to the slogan “Only transfer will bring peace” or may be an open interpretation paraphrase.
• 17. Rabbi Meir Kahane’s extreme nationalist views had a lot of influence on modern right-wing.
• 18. A parody on Ariel Sharon’s election speeches, which were saturated with the words “peace” and “security”.
• 19. Referral to the 1993 agreement signed in Oslo by Rabin’s administration with the PLO.
• 20. Israeli non-profit for animal rights.
• 21. Internet users claim that on a highway to Jerusalem used to be a graffiti slogan “Death to Arabs”, which was later changed into “death of values” (they’re written almost similarly in Hebrew)
• 22. “No fear, the messiah is in town”

Si sa molto, ma ancora molto poco soprattutto tra le nuove generazioni, dello sterminio di civili perpetrato dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale che ha provocato sei milioni di vittime, principalmente di religione ebraica a seguito delle leggi razziali, e che gli ebrei chiamano Shoah ma che ha riguardato altre minoranze “scomode”, tra cui i malati di mente, gli zingari, i testimoni di Geova, gli omosessuali. Per questo è più opportuno usare il termine generico ma ormai consolidato di olocausto (che in ebraico ha un altro significato).
Il personaggio simbolo almeno per i ragazzi delle nostre scuole medie è Anna Frank e il suo celebre diario, interrotto a pochi giorni dall’uccisione della ragazza, nelle cui ultime pagine Anna scrisse “È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo”.

Con la legge 211 del 20 luglio 2000  il governo italiano ha istituito il “Giorno della memoria” da celebrare ogni anno il 17 febbraio, giorno di apertura dei cancelli di Auschwitz. Molte voci hanno fatto notare che “non si ricorda per decreto” tra queste la nota giornalista Elena Loewental ebrea nel libro “Contro il giorno della memoria” del 2014.
Il mese scorso (maggio 2015) la provincia di Trieste ha organizzato il convegno “Passaggi di memoria. La trasmissione generazionale del trauma”, che verteva appunto sul come ricordare, trasmettere o voler dimenticare ciò che l’Olocausto è stato.

Poi si sono succeduti altre guerre e altri crimini di guerra, più o meno noti e più o meno dichiarati o pubblicizzati dall’informazione. Di certo siamo passati attraverso un Vietnam, una guerra nei Balcani che ha visto il suo apice nell’assedio di Sarajevo, in Bosnia e Erzegovina,  due guerre del Golfo di cui non si vede la fine, le varie primavere arabe che hanno avuto poco successo fino all’attuale crisi ucraina e la minaccia dell’Isis che torna a sparigliare le carte nel Nord Africa e non solo.

Nel novembre 1989 l’Europa tirò un illusorio sospiro di pace con la caduta del muro di Berlino. Illusorio perché di muri, o di cavalli di Frisia, ne sono stati elevati altri, oltre quelli che riusciamo a costruire tra noi stessi e altre persone Per citarne alcuni, quello tra Gibilterra e il Marocco, tra gli Stati Uniti e il Messico tra Israele e la striscia di Gaza.

Israele ha una storia lunga e breve nel contempo. L’Israele biblico, promesso a Abramo e realizzatosi prima con la presa di coscienza degli ebrei di essere un popolo, in fuga dall’Egitto guidati da Mosè, e arrivati in Canan, l’odierna Palestina, sotto la guida di Giosuè. Terminò (e dal punto di vista cristiano aveva terminato la sua funzione profetica alla morte di Gesù di Nazareth) con la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 dopo Cristo, con la presa di Masada nel 73, e per ultimo nel 135 in cui i Romani per essere chiari cambiarono il nome di Gerusalemme in Ælia Capitolina.

La storia poi continua con la dominazione musulmana, le crociate e altri avvenimenti che non riguardano più il popolo di di Israele, ormai nella diaspora, dispersione, che tra gli altri eventi ha visto gli ebrei, popolo non più nazione, sottoposti all’Inquisizione, chiusi in ghetti fino alla colonizzazione inglese della Palestina e, finalmente, con la Risoluzione Onu n. 181del 1947 che stabilì  di dividere il territorio in due stati.

Il 1° maggio 1948 è sorto il nuovo stato di Israele, che si differenzia molto da quello biblico. Il resto è storia moderna che si può trovare facilmente in internet e della quale, tra gli altri, scrive spesso David Grossman.

Nei suoi numerosi articoli e conferenze, tenute spesso anche in Italia, dichiara apertamente che l’idea “una terra due nazioni” voluta dall’Onu è si è rivelata un fallimento.

La sua onestà intellettuale si apprezza già in due dei suoi libri dai titoli significativi, “Con gli occhi del nemico” in cui guarda le ostilità tra i due popoli immedesimandosi nell’altra parte, e “La guerra che non si può vincere”, in cui denuncia l’uccisione di un bambino di dodici anni da parte dell’esercito israeliano, pratica molto frequente nella striscia di Gaza.
Il nuovo ministro israeliano della Giustizia Ayelet Shaked ha apertamente dichiarato che la Palestina non deve esistere e l’anno scorso su Facebook  il suo partito identificò l’intera popolazione palestinese come “il nemico” e fondamentalmente fece appello per il suo sterminio.

L’Israele moderno è molto lontano dalle ripetute raccomandazioni dell’Antico Testamento sull’ospitalità, “Amerai il prossimo tuo come te stesso”.

La storia è piena di contraddizioni. Dagli indigeni d’America, quelli che erroneamente chiamiamo indiani, cacciati da casa loro e confinati in “riserve”, ai curdi, di cui qualcuno sì è ricordato quest’anno traendo la conclusione che se esistono i curdi dovrebbe esister un Kurdistan, fino alle celebrazioni del centenario della Grande Guerra quando, invece, si dovrebbe celebrare la pace.

Tiziano Terzani, il giornalista che è stato nelle zone calde del mondo, fatte di droga, prostituzione, tratta dei minori e guerra, nel libro “Lettere contro la guerra” che arriva all’11 settembre 2001 spiega che usa il singolare perché la guerra è una, quella contro l’umanità.

http://www.richardsilverstein.com/2004/08/16/david-grossmans/
http://www.huffingtonpost.it/2015/03/09/israele-salta-il-premio-per-la-letteratura_n_6831924.html

UNA STORIA COMUNE

27 Apr

Toglimi le mani di dosso è la denuncia delle avance e dei ricatti a sfondo sessuale subiti da una giovane giornalista nel nostro paese, dove è ancora comune che molte donne, per fare carriera si sarebbe detto una volta, oggi per avere un contratto più o meno stabile, debbano concedersi al capo di turno, un dazio da pagare, un jus primæ noctis non scritto, ma è anche una denuncia dell’odierno precariato e di come una giornalista sia pagata 400 euro al mese, nonostante laurea, master e esperienza alle spalle.

Una denuncia della violenza del maschio italiano verso la donna, che ancora una volta è ricattabile per assenza delle adeguate tutele, in un ambiente di lavoro come quello giornalistico che molti conoscono solo attraverso il prodotto finito, il giornale cartaceo, on line o televisivo.

Non è un caso che nella quarta di copertina figurino i commenti di Michela Murgia, che con il suo Il mondo deve sapere. Romanzo tragicomico di una telefonista precaria denunciò lo sfruttamento dei lavoratori dei call center e di Riccarco Iacona, giornalista sempre attento ai temi di sfruttamento sessuale.

Una storia comune, finché non cambierà la testa di molti uomini.

LE PICCOLE COSE CHE CONTANO

26 Apr

Antonio era lì, a fumare la sua sigaretta dopo il caffè sulla soglia del bar prima di andare al lavoro, e come in un film vedeva scorrere davanti a sé la gente.

Qualcuno ha detto che alle sette del mattino il mondo è ancora in ordine, erano le sette e mezzo e la cittadina di provincia si stava animando, con i suoi colori, il suo traffico, i suoi rumori. In campagna il tempo è scandito dalle stagioni e dal movimento del sole, in città dal cambio delle vetrine dei grandi magazzini e dai picchi della circolazione stradale, frenetica a quell’ora e quasi assente dopo le nove.

In quella gente cercò di vedere delle persone, anche se non le conosceva. Luigi, che di lì a poco sarebbe entrato in fabbrica e avrebbe indossato la tuta, Giovanna che voleva essere una dei primi a ritirare la pensione in posta per paura che finiscano i soldi, Marco e Michela che tenendosi per mano si dirigevano, forse, verso la scuola e tante altre, ognuna con la propria storia, come Giulia, commessa in una profumeria che apre alle nove ma era già per via perché si sarebbe fermata a leggere alcune pagine del suo libro, nella sua borsa non ne manca mai uno, lontana si fa per dire dal traffico nel parco comunale.

Improvvisamente Antonio si rese conto che non aveva il diritto di cucire storie addosso a ignari passanti e si ritrovò a chiedersi cosa pensassero gli altri di quell’uomo fermo sulla soglia del bar, e questo pensiero lo accompagnò tutto il giorno.

Non era narcisismo, tanto meno un tentativo maldestro di introspezione, ma la presa di coscienza che nessuno è solo al mondo. Come un uccello che plana a cerchi concentrici cominciò a prima a chiedersi quante persone lo conoscessero anche solo di vista, restrinse poi il campo a coloro che conosceva lui, ai colleghi e amici, ai familiari, giù giù fino ai compagni di scuola, all’amichetta del cuore dei tempi dell’asilo.

In una cittadina di provincia nessuno passa inosservato, ogni persona lascia tracce del suo passaggio che a pensarci prima gireremmo tutti con guanti in lattice, non tanto per i sistemi di videosorveglianza le cui registrazioni sono cancellate dopo quarantotto ore, quanto nelle persone più impensate e lontane dalla nostra mente che per qualche ragione serbano un ricordo di noi.

Questo pensiero gli riaffiorò più volte nella giornata, ma era una persona per bene e come tale, senza presunzione, pensò che da qualche parte ma soprattutto in qualche persona uno o più ricordi belli li aveva lasciati, perché sì, i grandi personaggi passano alla storia, ma la vita è un puzzle di tante piccole cose, che sono quelle che contano.

ATTUALITÀ

25 Apr

“In quegli anni insegnavo retorica e vendevo l’arte di vincere con le chiacchiere”.

Agostino d’Ipponia, Confessioni, IV, 2, 2

O forse di convincere, o forse di vivere… devo controllare. 🙂

Sembra scritto in questi giorni… poi ognuno metta i nomi che crede.

PROFEZIA E DENUNCIA

24 Apr

“Lo Spirito soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito” risponde Gesù (in Giovanni 3) a Nicodemo, fariseo, uno dei capi dei Giudei, per spiegargli che non stava a lui porre limiti all’azione di Dio, quell’azione che spesso non riusciamo a comprendere.

La profezia in senso proprio – anche Mosè è chiamato profeta – non comincia con Isaia e la sua scuola (il libro di Isaia, come lo conosciamo oggi, è composto da tre parti di tre autori diversi), che è forse il più famoso e che offrì il suo servizio,

“Nell’anno in cui morì il re Ozia, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Attorno a lui stavano dei serafini, ognuno aveva sei ali; con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi e con due volava. Proclamavano l’uno all’altro: “Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria”. Vibravano gli stipiti delle porte alla voce di colui che gridava, mentre il tempio si riempiva di fumo. E dissi: “Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti”. Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e mi disse: “Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua iniquità e il tuo peccato è espiato”. Poi io udii la voce del Signore che diceva: “Chi manderò e chi andrà per noi?”. E io risposi: “Eccomi, manda me!”. Egli disse: “Va e riferisci…” (Isaia 6:1-9).

ma con un mandriano qualsiasi, raccoglitore di sicomori, che se ne stava per i fatti suoi , quando ll’Eeterno lo chiamò. Questa è la sua narrazione,

“Amasia, sacerdote di Betel, mandò a dire a Geroboamo re di Israele: “Amos congiura contro di te in mezzo alla casa di Israele; il paese non può sopportare le sue parole, poiché così dice Amos: Di spada morirà Geroboamo e Israele sarà condotto in esilio lontano dal suo paese”. Amasia disse ad Amos: “Vattene, veggente, ritirati verso il paese di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno”. Amos rispose ad Amasia: “Non ero profeta, né figlio di profeta; ero un pastore e raccoglitore di sicomori. Il Signore mi prese di dietro al bestiame e il Signore mi disse: Va, profetizza al mio popolo Israele…

“Vattene, veggente” non è una risposta alla profezia di Amos, è l’espressione di non volerla ascoltare.

Il Signore si serve di chi vuole, anche di ribelli come Giona, non sta a noi guardare il vestito ma  ascoltare e esaminare ciò che dice, perché ci sono cose che vanno dette, anche da te e da me, a costo di passare per antipatici come lo fu Amos per Amasia.

Dice Qohelet nella sua famosa lista di antitesi nel capitolo 3

C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare”.

Un tempo per tacere, ascoltare e meditare prima del tempo per parlare, denunciare le cose che non vanno, e se ciò è importante nelle questioni sociali lo è ancor di più in quelle spirituali.

Lo Spirito soffia dove vuole.

COMPITO

22 Apr

Compito per il fine settimana.

Rammentare le parole con il prefisso con (o com), come com-passione, fare mente locale sul loro significato e mettere in pratica quelle positive

Non tutte ovviamente sono parole composte, tra quelle da escludere c’è proprio “compito”. 🙂

LA TELEVISIONE CHE VORREI

20 Apr

Giorni or sono, però pochi lo sanno, si è svolto un incontro riservato a pochi e ancor meno pubblicizzato sul futuro della Rai e della sua convenzione con lo Stato, La Rai che vorrei. (aggiornamenti quotidiani su @key4biz).

Una convenzione che scadrà il 6 maggio e della quale è già stata chiesta una proroga a fine ottobre. Dopo, non prima, il referendum sulla riforma del Senato, se qualcuno vuol pensare male.

Ognuno faccia le proprie valutazioni sulla Rai, che si è enormemente trasformata nel bene e nel male assomigliando sempre più alle altre reti nazionali, con il particolare che “la tassa di possesso di un apparecchio atto alla ricezione del segnale televisivo”, comunemente chiamata canone Rai e quest’anno esatta dai fornitori di energia elettrica per conto dell’Agenzia delle Entrate, al netto delle spese di gestione, è a beneficio solo della Rai.

La Rai eccelle in molti canali, tra i quali Rai5 e in molti programmi tra i quali Rai Storia (opinioni personali, ovviamente), e difetta in molti altri in cui il pettegolezzo e il quotidiano rivangare nei fatti di cronaca nera non facilitano la crescita culturale di un paese, cosa che dovrebbe essere tra gli scopi di una televisione di stato, assieme ai vari programmi a quiz in cui il messaggio neppure troppo subliminale è “è bello vincere facile”, a forza di centinaia di migliaia di euro, schiaffi in faccia a chi arriva a stento a fine mese.

La Rai ha annunciato per maggio un questionario agli utenti. Staremo a vedere le domande, le risposte e soprattutto come queste ultime verranno prese in considerazione.

Di certo è che, se per la politica deve esserci una par condicio, questa pare non esistere per quanto riguarda la presenza delle confessioni religiose diverse da quella cattolica, stando ai dati pubblicati da Il Fatto quotidiano. In un’Italia sempre più diversificata, questa è una grave lacuna. La trasmissione “Protestantesimo”, che è una trasmissione culturale e non di proselitismo, è messa in onda alle 01:20 a.m. di lunedì, con il risultato che chi vuol vederla in differita sul Web deve attendere il martedì. Questa è un’enorme lacuna culturale, assieme al mancato insegnamento della storia delle religioni nelle scuole, chiesto da molti per saper affrontare i temi posti dalla trasformazione della nostra società.

Detto questo, se la Rai non riuscirà a soddisfare le aspettative, in un’epoca di liberalizzazioni non dovrebbe dare scandalo se lo stato stringesse la convenzione un’altra emittente con copertura nazionale.

Sempre tenendo presente che l’apparecchio televisivo può anche rimanere spento, ma questo è un altro discorso.

AFFETTO, AMORE E INIBIZIONI

18 Apr

JoBaez

Questa è la copertina di un’autobiografia di Joan Beaz, del 1969 negli Oscar Mondadori, lire 1500, ma chi di noi, sopra una certa età, non ha in casa una biografia di Joan Beaz, di Bob Dylan o dei Beatles?

Il titolo originale è Daybreak, ma voglio soffermarmi sulla scelta dell’editore italiano. Amore e love sono termini inflazionati e dovremmo tornare alla distinzione della lingua greca tra i diversi tipi d’amore per apprezzarne appieno il significato.

Direi quindi, “Saresti imbarazzata/o se ti dicessi che ti voglio bene?”.

Posta così, superati gli equivoci, è una domanda molto interessante che dovremmo rivolgere alle nostre amiche e ai nostri amici, perché provare affetto, “voler bene” appunto, come l’amore in una coppia, è qualcosa che va maturata e rinnovata di giorno in giorno, aggiungendo ogni giorno un tassello o un mattoncino Lego. Qualche volta accadrà di togliendone uno per un’incomprensione, ma se la relazione è forte resisterà e sarà stato solo per rafforzarla.

“Voler bene” è abbassare le difese, fidarsi. A un’amica o a un amico non bisogna “raccontare tutto”, lasciamolo fare alle adolescenti (gli adolescenti sono più riservati), ma essere pronti a farlo quando serve.

Relazione. Una dei maggiori esperti in assoluto, la Volpe del Piccolo Principe, dice che va costruita ogni giorno.

Per questo ogni tanto bisognerebbe salutare un’amica o un amico con un “piacere di conoscerti”, perché nel tempo io sono cambiato, tu sei cambiata/o, ma continuo volerti bene per come sei, per la ricchezza interiore che solo tu hai.

LAURO

13 Apr

Si pensava, erroneamente, che imporre nomi prettamente maschili al femminile alle bambine fosse indice di delusione, insomma di “maschio mancato”. “Nuttata persa e figlia fimmina” dicevano i siciliani, ma anche Freud non si è risparmiato.

Resto molto perplesso sulla scelta di Andrea al femminile, perché ἀνήρ da cui l’italiano Andrea indica l’uomo in contrapposizione a γυνή, donna.

A “pareggiare i conti” ho conosciuto due uomini con nomi tipicamente femminili, resi al maschile. Uno Barbaro che a differenza di Barbara non suona molto bene per motivi storici e Lauro.

Laurus nobilis è il nome scientifico dell’alloro, usato in cucina ma anche per confezionare corone di lode. Chissà, forse i suoi genitori forse avranno pensato a questo.

NOTE A MARGINE

11 Apr

libroaperto

Marginalia è il termine dotto delle note a margine, scritte dal proprietario (e spesso dal possessore a danno del bene pubblico nelle biblioteche) di un libro.

Nei codici antichi, pur con l’attenzione prestata dagli scribi, accadeva che qualche annotazione marginale, nella copiatura, entrava a far parte del testo, che poi a sua volta serviva da base per un’altra copia, con tutte le aggiunte (ma anche le omissioni e altri errori che qui tralascio).

Uno dei casi più famosi è l’episodio dell’adultera nel capitolo 8 del vangelo di Giovanni. Sappiamo che è stato scritto da un’altra persona e poi inserito perché, pur essendo stato scritto in greco come il resto, le parole non sono quelle proprie dell’autore. Nelle traduzioni questo ovviamente non si nota.

Quella delle note a margine è una pratica che si sta perdendo perché i libri sono sempre più compatti, con margini sovente di un centimetro, dove obiettivamente non si può scrivere nulla.

Alcune case editrici lasciano a fine libro un paio di pagine bianche ma, come le note a fine capitolo o fine libro, l’effetto non è così immediato.

Bisognerebbe sempre leggere un libro, che sia un saggio o un romanzo impegnativo, con una matita e un piccolo blocco per appunti, per segnarvi le note che nelle pagine non trovano più spazio.

Serviranno in futuro per rileggere il libro ma sarà anche un valore aggiunto nel caso decidessimo di regalarlo, se proprio non sono note personali.

Quanto ai marginalia propriamente detti ricordo che i margini di una pagina del libro su cui ho studiato a suo tempo l’Iliade sono pieni, dall’alto in basso, di “GIULIANA” ripetuto più volte.  Segno che  quel giorno ero più attratto dalla mia compagna che dalle gesta di Achille o di Ettore.

In uno spartito, e chi studia musica deve avere sempre la matita con sé per annotare le pause e le inflessioni, ho visto scritto, forse in inconscio  omaggio a Rossella O’Hara, “PER ORA FIN QUA DOPO SI VEDRÀ”.