Sabato 16 novembre Ra1 ha dedicato un omaggio a Fabrizio de André che è servito a dimostrare che ci sono delle canzoni che non possono essere interpretate da altri pur validi cantanti ma soprattutto che le sue non sono canzonette ma poesie musicate, alcune delle quali, come La guerra di Piero, hanno già trovato posto nei testi scolastici.
Fabrizio De André, credente a modo suo come dev’essere ognuno di noi perché il cristianesimo non è una religione collettiva ma una fede personale nel repertorio delle sue canzoni più famose annovera tre canzoni che parlano di prostituzione: La canzone di Marinella, Via del Campo e la più esplicita Bocca di Rosa, la donna che reca scompiglio nel paesino di Sant’Iliario andandovi a esercitare il cosiddetto mestiere più antico del mondo, secondo l’espressione usata da Rudyard Kipling.
Ne ho già scritto tempo fa in questo post prendendo spunto dai buoni consigli di una delle vecchie di Sant’Ilario.
Riparlarne solo in occasione di un evento televisivo sarebbe sterile se non si traessero e si riproponessero delle considerazioni relative ai giovani che forse il sabato sera non guardano la televisione.
La prima, consolidata, è che la prostituzione e il relativo sfruttamento che in Italia è reato non esisterebbero se non ci fosse una richiesta, come ha bene spiegato il giornalista Riccardo Iacona nel suo saggio Utilizzatori finali a proposito delle ragazzine di Roma e sarebbe ingenuo pensare che il fenomeno sia terminato lì.
La seconda e in questo momento più importante, è che l’età della violenza sessuale, in virtù della presunta predominanza del maschio, si è abbassata a 14 anni e ciò non dovrebbe ma deve far riflettere i genitori delle ragazze e dei ragazzi, in modo da porre rimedio. Con le ragazze incoraggiandole a stare in guardia e a mantenere i contatti sani con l’altro genere per non cadere nella trappola del “gli uomini sono tutti uguali”, con i ragazzi spiegando che l’essere umano non agisce per istinto, ma può e deve imparare a dominare i suoi desideri e a esprimerli nel modo corretto considerando sempre le ragazze non come femmine ma come persone.
Concetti che in questo mese più di qualcuno esprimerà per poi tirarli fuori dal cassetto nel novembre 2020.
In assenza di una politica di educazione di genere nella scuola sulla quale ormai non c’è alcuna speranza salvo un un improbabile cambiamento radicale di prospettiva, il compito spetta ai genitori, ed è un compito troppo importante per cadere nel “non ho tempo”. Coloro che non riescono a parlarne con i figli dovrebbero cercare aiuto sul territorio, a cominciare dai Consultori familiari o dalle associazioni di volontariato composte da persone competenti, prima che i figli si confrontino con i loro pari o con il “dottor Google” che già tanti danni sta facendo in medicina.
A proposito di Rudyard Kipling e di linguaggio di genere, avete fatto caso che a fronte del “p. Eva” non c’è un corrispettivo che riguardi Adamo? Anche questa è una forma di discriminazione che nel 2019 non dovrebbe più esistere.
(foto Ra1)