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CREDIBILITÀ DELLE NOTIZIE

13 Dic

La calunnia è un venticello” da Il barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini è una delle romanze più famose delle lirica italiana. Con il suo crescendo anche terminologico – la calunnia da venticello diventa colpo di cannone – vuol far notare come ciò che all’inizio è una diceria pian piano diventa sospetto fino a affermarsi come realtà, ovviamente non verificata.

Stando ad uno studio del MIT le bufale, le fake news, corrono più veloci delle notizie vere, vuoi perché spesso i quotidiani non verificano le fonti vuoi perché nell’epoca dei Social Media il passaparola la fa da padrona senza che chi legge una notizia la verifichi.

Ci sono notizie che è facile smontare subito, altre che che siano vere o false che siano non cambiano la vita, altre che, pur essendo false, si trasformano in convinzioni e quando le convinzioni diventano tradizioni è difficile convincere chi le crede vere che vere non sono.

Per fare un esempio letterario, nell’immaginario popolare il “dubbio amletico” vuole che il principe di Danimarca, nella tragedia di Shakespeare, pronunci il suo famoso “Essere o non essere? Questa è la domanda.” con un teschio in mano.

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Teschio che non compare in questa scena (Atto III, scena I) ma più avanti (Atto V, scena I), quando in cimitero Amleto si trova a discutere con un becchino e allora prende in mano il teschio di Yorik, buffone del re.

Questo non cambia nulla nella vita delle persone e interessa solamente i cultori di William Shakespeare ma ci sono, e ci sono state anche prima del Social Media, molte altre informazioni volutamente false e tendenziose che hanno avuto e hanno effetti diretti e indiretti nella vita dei singoli e della società.

È brutto doverlo dire, ma soprattutto di questi tempi, ogni notizia va verificata, e soprattutto bisogna educare giovani e adulti a saperlo fare. Per rimanere sull’onda dell’Amleto purtroppo “C’è del marcio nelle notizie”.

DUE DATTERI E UN SORRISO

5 Dic

Un paio di anni fa sotto le feste eravamo in fila per comperare dei datteri e stavamo valutando tra noi quali scegliere.

Il signore prima di noi si girò e ci consigliò: “Comperate quelli, che sono migliori” poi, finito il suo acquisto, aprì la sua confezione e ce ne offrì.

Io sono mussulmano” ci disse “e non festeggio il Natale, per noi offrire i datteri è comunque segno di amicizia”.

Apprezzammo questo suo gesto spontaneo di condivisione e imparammo qualcosa.

Per quelli che strenuamente difendono “i nostri” valori, spesso senza sapere quali in realtà siano.

ESSENZIALE

2 Nov

ESSENZIALE

L’essenziale è invisibile agli occhi, ricorda la volpe al Piccolo Principe.

Di quanta roba inutile – “roba” nel senso verghiano nei Malavoglia – ci circondiamo? Inutile – inutile, nel senso che potremmo tranquillamente farne a meno o che, come troppo spesso succede, abbiamo comperato e non sappiamo più di avere a casa.

Ognuno faccia la propria lista, che non deve necessariamente di privazioni. Gesù, a chi obiettava che l’olio con cui la peccatrice gli ungeva i piedi asciugandoli con i capelli si sarebbe potuto vendere e il ricavato darlo ai poveri, rispose “Lasciatela fare, i poveri li avrete sempre con voi”. Frugalità non è sinonimo di povertà.

Scrive Luis Sepúlveda in Il potere dei sogni che ha fatto spazio nella sua biblioteca perché non ha senso tenere i libri di facile reperibilità.

Un buon esercizio è pensare a come riempiremmo la valigia per un volo low cost, dove si sa che le compagnie si rifanno sul peso dei bagagli. “Questo sì, questo no, questo non so, questo mi è proprio indispensabile, questo costa poco e lo ricompro all’arrivo”.

Finiremo col fare spazio a casa, o sugli scaffali della libreria, ma soprattutto nel nostro stile di vita educandoci ad un acquisto e ad un consumo più consapevoli che di questi tempi – a prescindere dalle possibilità economiche di ciascuno – non è da poco.

L’esempio attuale è la sostituzione della bottiglietta di plastica con la borraccia. Ci sono certo occasioni in cui non è possibile, anche se prima o poi diventerà un accessorio accettato come lo Smarty,  così come non è opportuno presentarsi ad un incontro con la borsa della spesa, ma nella maggior parte delle volte si può fare.

USARE SEMPRE IL LINGUAGGIO APPROPIATO

14 Ott

Ho letto in alcuni twitt che Massimo Giletti nella sua trasmissione su La7 ieri sera ha riproposto il tema della dottoressa Serafina Strano, stuprata mentre prestava servizio alla Guardia Medica di Trecastagni.

La lettera con cui la Compagnia d’assicurazione nega il risarcimento è scritta nella perfetta antilingua di Italo Calvino – che, possiamo essere sicuri, sarà usata ancora per molto tempo – liquidando come infortunio lo stupro subito dalla dottoressa. Infortunio, lo dice la stessa radice semantica, deriva da fortuna, è un evento casuale come uno slogamento di una caviglia o la frattura di un braccio. Un atto di violenza su una donna non è casuale – accantoniamo il discorso di raptus del pover’uomo, che non regge – ma un atto deliberato.

Lasciando da parte la trasmissione che non ho visto, quello della sicurezza dei medici in servizio alle Guardie mediche è un tema ancora di attualità, a tutela di tutti gli operatori e del personale femminile in particolare. A poco serve una videosorveglianza e il collegamento con le Forze dell’ordine ad atto compiuto. A Pordenone per un periodo gli ambulatori sono stati presidiati dai membri dell’ANA, quegli alpini che non smettono mai di esserlo e che, oltre a preparare un piatto di pasta alle biciclettate, sono sempre pronti ad intervenire nei disastri naturali.

Tornando all’antilingua di Italo Calvino e alla definizione generica di infortunio usata dalla Compagnia di assicurazione, ci sono termini che sono entrati nell’uso comune, come stupro e mestruazioni, verso i quali è segno di grande ipocrisia usare degli eufemismi, perché i nostri figli li conoscono e perché non siamo più nell’epoca vittoriana, nella quale era sconveniente per una donna pronunciare il termine “pantaloni”.

Della violenza di genere e in particolare della violenza sulle donne si deve parlare ai ragazzi e alle ragazze fin da piccoli, perché se non lo facciamo noi o la scuola cercheranno le informazioni tra i loro pari o, peggio, dal “dottor Gugl”.

Lo si può fare  con i propri figli, magari non ora che sono presi dai libri di scuola, ma proponendo loro l’estate prossima il libro Il buio oltre la siepe, di Harper Lee, ricavato da un fatto vero, che tratta il tema del razzismo nell’Alabama e in Georgia e vede come imputato un giovane di colore, ma che sarà comunque condannato, perché la parola di una donna bianca ha più valore di quella di un nero.

Si può spiegare cos’è una violenza con poche parole, come fa il padre Atticus che nel romanzo risponde alla piccola figlia che tutti chiamano Scott e che, quando richiesto perché impiegasse tempo a difendere un perdente in quanto nero, risponde: “Per vari motivi”, disse Atticus. “Il principale è che se non lo facessi non potrei più andare in giro a testa alta […] e non potrei nemmeno dire a te o a Jem: fa’ questo e non fare quello”. L’esempio viene prima delle parole.

Ci sono libri scritti per ragazzi in realtà destinati agli adulti e viceversa. Questo è uno di quelli. Dipende dalla maturità soggettiva, negli Stati Uniti cominciano a consigliarlo dai dodici anni in su.

REINVENTARSI

12 Apr

Visto il calo d’interesse verso la letteratura e il corrispondente incremento dei vari “Masterchef” Dante, da buon toscano ha aperto un frantoio, il Boccaccio  un’industria conserviera, mentre l’emiliano Ariosto un opificio di aromi da cucina. 🙂

MEMORIE DI AZZURRO

8 Mar

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L’altra sera a cena con amici ci siamo trovati a parlare delle vacanze estive dai nonni.

Quelle descritte da Celentano in Azzurro, che io passavo spesso da mia nonna, con l’obbligo formale del riposino pomeridiano. Formale perché, per quell’accordo non scritto che si può stipulare con i nonni che sono più permissivi dei genitori ogni tanto, novello Tom Sawyer, lo trasgredivo saltando dalla finestra al pian terreno della villetta e via per i fatti miei!

Anche quel giorno che, cammina cammina sul lato sinistro della strada come mi avevano insegnato a scuola, percorsi cinque chilometri fino ad arrivare al paese vicino dove abitava uno zio mugnaio che aveva un mulino ad acqua, non proprio bianco come quello dei famosi biscotti e merendine, ma che mi affascinava ugualmente (forse già all’epoca mi stavo appassionando al tempo e il roteare della ruota mi ricordava un orologio). Interrogatomi sul cosa facessi lì e se mia nonna ne fosse al corrente, mio zio mi pagò il biglietto per il primo autobus di ritorno. Mia nonna non lo venne a sapere perché non aveva il telefono, neanche quello nero a muro con il disco.

Una signora più giovane  mi raccontò in altra occasione di come veniva mandata dai suoi nonni in Sardegna e di come era coccolata dalla nonna che ogni giorno ne trovava una nuova per farla mangiare, preparandole se necessario le tagliatelle a merenda. Suo nonno era un pastore, un pastore sardo di quelli che avevo visto sui libri delle elementari. Incuriosito, le chiesi se parlassero in dialetto o in italiano. Mi rispose che sì, qualche parola in dialetto usciva, ma parlavano in italiano perché a suo modo suo nonno era una persona colta. Quando recava il gregge al pascolo portava con sé un libro di un autore italiano, D’Annunzio, Manzoni o Verga, assieme a un piccolo dizionario nel quale cercava le parole che non conosceva e che annotava nei suoi marginalia.

Rimasi stupito e lei, a sua volta mi disse di esserlo stata quando, da adulta, vide il film tratto dal romanzo Padre Padrone di Gavino Ledda, che certo non corrispondeva all’immagine del pastore sardo da lei avuta da piccola.

Questo per dire che ci sono luoghi comuni e stereotipi che non sempre corrispondono alla realtà e che, pur traendo spunto da uno o più fatti veri,  non debbono essere presi per buoni ma verificati, e non rappresentano tutta una categoria di persone.

Come quella, fraintesa da molti, “contadino, scarpe grosse e cervello fino”. Scarpe grosse sicuramente, perché altrimenti affondano nel terreno bagnato, ma cervello fino non si riferisce ad una persona che senza intelletto ma piuttosto che sa ragionare, forse non sempre come i libri di scuola ma, si sa, i libri sono la forma scritta in bella copia della pratica.

NON SI RICORDA PER DECRETO

23 Gen

Non si può ricordare per decreto, anche perché dopo Auschwitz ci sono state le stragi di Sabra e Shatila, di Aleppo, di Sebrenica, delle Torri Gemelle e molte altre, quotidiane, fino ai giorni nostri.

A ricordo dell’Olocausto che non ha riguardato solo gli ebrei e che essi chiamano Shoah e ricordano secondo il calendario ebraico il 27 Nisan, ma seppure in misura minore – anche se parlare di numeri a proposito di vite umane non ha senso, un detto ebraico recita “Chi salva una vita salva il mondo intero” – i malati di mente, gli storpi, gli omosessuali, i Testimoni di Geova.

Come non rammentare la “rotta balcanica”, ancora attiva in questi mesi freddi e della quale si parla poco, gli odierni muri e cavalli di Frisia che sorgono qua e là in Europa, Palestina, Stati Uniti, all’Arcella, un quartiere di Padova, spesso anche tra me e te, ma soprattutto quanti stanno morendo ora in terra e in mare per fuggire dalle guerre?

Forse, spiegando ai giovani il perché sono accadute e accadono le cose che vedono quotidianamente nei telegiornali, essi riuscirebbero a capire di più.

Forse una visita a Sarajevo e al suo teatro distrutto e rifatto o a Mostar e al suo ponte bombardato e ricostruito potrebbe far capire che la vita continua nonostante la malvagità della guerra, per dirla con Jaques Prévert nella poesia Barbara.

Senza con questo dimenticare che i campi di sterminio sono stati una pagina oscura della nostra storia.

Scrivo a tre chilometri in linea d’aria dalla Risiera di San Sabba, unico campo di sterminio in Italia in quella Trieste che il prossimo 10 febbraio ricorderà le Foibe e l’esodo verso l’Italia degli istriani, fiumani e dalmati, realtà fino a pochi anni sconosciuta nel resto dell’Italia.

Di Elena Lowenthal, ebrea, Contro il giorno della memoria.

Proprio perché non credo nelle “giornate pro o contro qualcosa” piuttosto che l’ormai lontano nel tempo Diario di Anna Frank consiglio la lettura di Stanotte guardiamo le stelle, di Alì Ehsani, storia di un ragazzino in fuga dall’Afghanistan in guerra verso una sperata libertà in Italia, attualità certo più vicina e quindi più comprensibile dai nostri ragazzi.

LA CULTURA E L’OSPITALITÀ

2 Gen

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Anni or sono ospitammo per un periodo la figlia diciottenne di nostri amici di Taranto. Il padre ci mandò un assegno a copertura delle spese e, per non entrare in quel circolo vizioso dei “non dovevi” e dei “non se ne parla proprio”, decidemmo di dare l’importo alla giovane.

Lei ringraziò, dicendo però che non le pareva corretto ricevere del denaro oltre all’ospitalità, e ci domandò di regalarle dei libri.

Comprammo quindi dei libri adatti alla sua età e ne riempimmo un scatolone. Comprammo anche l’Ulisse di James Joyce, nell’edizione Oscar con la guida alla lettura, ne facemmo un pacchetto a parte con la dedica “Questo leggilo un po’ più tardi, prima goditi la gioventù”. 🙂

L’ESSENZIALE

5 Dic

Riflesione prenatalizia.

Di quanta roba inutile – “roba” nel senso verghiano de I Malavoglia – ci circondiamo? Inutile-inutile, della quale potremmo tranquillamente fare a meno, o che, come spesso succede, abbiamo comperato e non sappiamo più di avere a casa.

Ognuno faccia la propria lista, che non deve necessariamente di privazioni. Gesù, a chi obiettava che l’olio con cui la peccatrice gli ungeva i piedi asciugandoli con i capelli si sarebbe potuto vendere e il ricavato darlo ai poveri, rispose “Lasciatela fare, i poveri li avrete sempre con voi”.

Scrive Luis Sepúlveda in Il potere dei sogni che ha fatto spazio nella sua biblioteca perché non ha senso tenere i libri di facile reperibilità nelle biblioteche pubbliche (quanti di noi hanno l’ingombro dei tre o quattro centimetri di costola de Il nome della rosa 🙂 ).

Un buon esercizio è pensare a come riempiremmo la valigia per un volo low cost, perché si sa che le compagnie si rifanno sul peso dei bagagli. “Questo sì, questo no, questo non so, questo mi è proprio indispensabile, questo costa poco e lo ricompro all’arrivo”.

Finiremo con il fare spazio a casa, o sugli scaffali della libreria, ma soprattutto nel nostro stile di vita educandoci ad acquisti e a un consumo più responsabile. Il che di questi tempi – a prescindere dalle possibilità economiche di ciascuno – non è da poco.

Passando dalla modalità dell’avere a quella dell’essere.

TI CANCELLO, QUINDI NON ESISTI

14 Ott

Venerdì 12 ottobre, assieme a mio nipote, sono stato a vedere la mostra sulle leggi razziali, proclamate a Trieste il 18 settembre 1938.

Mostra molto ben fatta dagli studenti del Liceo Petrarca che verteva quasi esclusivamente sulla storia della scuola ma con alcuni richiami alla cronaca dell’epoca tratti da Il Piccolo, quotidiano della città.

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La foto simbolo, secondo me, è quella di una classe della scuola con due volti cancellati (questa, fatta da mio nipote ne riprende la metà), segno del tentativo di annullamento delle persone.

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Mostra che dovrebbe far riflettere perché anche se non ufficialmente il diverso, che oggi non si chiama più ebreo, è ancora odiato da parte di alcuni tra noi, come testimoniano alcuni recenti episodi di cronaca.

Ho spiegato a mio nipote che quello che è stato lo sfruttamento dei neri nelle piantagioni di cotone nell’Alabama, nella Georgia e in genere nel Sud degli Stati Uniti lo ritroviamo nel caporalato nel foggiano e non solo per la raccolta dei pomodori.

Personalmente sono per il ripristino della parola negro, piú cruda ma certo piú sincera, perché persona di colore fa parte di quegli eufemismi come non vedente o diversamente abile che la linguista Nora Calzecchi Onesti chiamava nel titolo di un suo celebre manuale Le brutte parole. Semantica dell’eufemismo e che noi ora chiamiamo politicamente scorretto. Rammentiamo che nell’ultima nazione ad avere ufficialmente la discriminazione razziale, la Repubblica Sudafricana, esigeva il colore della pelle scritto sulle carte di identità. Pochi sanno che il titolo originale del famoso giallo di Agatha Christie, “Dieci piccoli indiani” era “Ten little niggers”, poi cambiato in Ten Little Indians perché ritenuto inopportuno dall’editore. La discriminazione contro tutti quei diritti che sono garantiti dall’articolo 3 della nostra Costituzione è esercitata ora in altri modi, pur se la Repubblica ha il compito di osteggiarla.

La mostra è importante, e ora comincerà a girare per l’Italia con prima tappa a Milano, sia perché testimonia di un tragico fatto che ha portato alle consguenze che sappiamo, sia, come ho scritto più sopra, per le tentazioni di ricerca della razza perfetta che sono sempre in agguato qua e là in Europa e nel mondo. I destinatari dovrebbero essere gli studenti, che più di noi non hanno vissuto quella realtà, ma le molte persone adulte distratte o smemorate cui è bene rammentarla.