Archivio | aprile, 2019

EDUK

28 Apr

Eduk era un mio amico – al passato solo perché ci si è persi di vista – di famiglia agiata studiava medicina. Nero, all’epoca non di usava l’eufemismo “di colore”. Si vestiva come voleva, qualche volta con una delle sue tuniche perché, diceva, “se hanno sa dire lo fanno perché sono nero, quindi, senza disturbare nessuno, vivo a mio a agio”. Parlava italiano. Una volta ci trovammo ad una conferenza, erano i tempi in cui non si parlava di Unione Europea ma ancora di Comunità economica europea. A udire l’oratore parlare con insistenza di Europa, garbatamente chiese la parola, si alzò e disse “Se lei continua a parlare di Europa, io comincio a parlare di Africa, concetti quanto mai vaghi”.

L’Africa è il terzo continente del pianeta quanto a superfice ed è composto da 54 nazioni, tra le quali il Brukina Faso, considerato il Paese più povero della terra.

Parlare tout court di africani, come è successo nella tempesta riguardo il Trieste Running Festival, può essere dunque impegnativo.

Un’estate a Otranto, il punto italiano più vicino alla costa albanese, vidi un’automobile con il distintivo ovale IS, Islanda. Non pensai a quanti chilometri avevano fatto, ma a quanto differente potesse essere un islandese da me.

Proprio come il concetto astratto di Africa e africani richiamato da Eduk.

A COME ALTAMURA, B COME BETLEMME

18 Apr

panedialtamura

Per dare un senso alla Pasqua che non sia di cioccolato, come vuol farci credere la pubblicità.

Forse un gesto scontato nella parte ricca del mondo del ventunesimo secolo è quello di comperare il pane, al forno ma molto più spesso al supermercato come un genere alimentare tra gli altri. Poniamo attenzione, almeno chi lo sa fare, ai diversi vini da accompagnare alle pietanze senza pensare che dovremmo farlo anche con i diversi tipi di pane.

Noi di città conosciamo poco il pane, al più, se siamo per strada di mattina presto prima del caos urbano, possiamo sentirne l’odore che esce dai forni a serranda ancora abbassata, senza pensare a quanti lavorano per farcelo trovare bello caldo e fragrante. Fare il pane, nella civiltà contadina, era una cosa comune, come rassettare la casa e cucinare. Lo si faceva una volta alla settimana perché a differenza di oggi il pane durava più giorni.

Dalla scelta della farina, e ancor prima dalla raccolta del grano, fino alla cottura in forno sono tutti passaggi pregni di significati che pian piano si sono persi.

Qualcuno ricorderà i versi della Spigolatrice di Sarpi di Luigi Mercantini, per averli studiati a scuola. Gli insegnanti ponevano l’enfasi su quei trecento che erano giovani e sono morti senza preoccuparsi troppo della donna.

Spigolare è ciò che facevano i poveri, dai tempi antichi fino a settanta/ottanta anni or sono, andando nei campi a raccogliere le spighe rimaste a terra dopo la trebbiatura. Era un atto di umiltà perché bisognava chiedere e ottenere il permesso per fare una cosa semplice come raccogliere degli scarti. Gli spigolatori del duemila sono coloro che vanno a recuperare gli ortaggi nei cassonetti vicini ai supermercati e non solo.

Una spigolatrice famosa è Ruth, originaria di Betlemme, nella linea genealogica di Gesù, la cui storia possiamo leggere nel libro della Bibbia che porta il suo nome e in cui viene raccontato come un suo lontano parente al quale la donna era piaciuta, la favorì in questo lavoro ordinando ai suoi servi di lasciare delle spighe in abbondanza quando passava lei a raccoglierle.

È forse in ricordo di Ruth, anche se la motivazione si era persa, che settanta/ottanta anni or sono nel primo anno di matrimonio le nuore usavano portare in dono alle suocere la vaccaredda,

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in segno sia di affetto sia di riconoscimento della sua autorità. Cose di altri tempi, si dirà oggi. La vaccaredda si portava anche al genitore rimasto vedovo, e si intendeva con questo gesto ripagare la mamma o il papà del latte che avevano donato alla figlia quando era piccola, durante l’allattamento. Scopriamo così l’arcano di questa forma strana che ricorda di mammelle e il gesto di riconoscenza verso i genitori che perdurava fino alla loro morte.

Di pane ci parla Dante Alighieri nel canto decimosettimo del Paradiso, “Tu proverai come sa di sale lo pane altrui, e quanto è duro calle lo scender e ‘l salir per l’altrui scale” perché, per tradizione, a Firenze il pane tuttora è insipido.

Di pane ha scritto Ignazio Silone nei suoi romanzi Pane e vino e Il seme sotto la neve, richiamandosi alla frase di Gesù “Se il seme non muore non può dar frutto”.

Il pane è presente nella nostra cultura nell’espressione, ormai in disuso “Portare il pane a casa”, procacciare il sostentamento per la famiglia con l’onesto lavoro.

Il pane ha sempre avuto un significato simbolico. Le nonne del dopoguerra dicevano che il pane non si butta. In termini moderni si ricicla come pane grattugiato, ingrediente delle polpette dei poveri, gli gnocchi di pane triestini e i canederli altoatesini, bagnato nell’acqua, cibo per gli animali da cortile

Quello di spezzare il pane ormai è un gesto perduto, vuoi perché lo si affetta vuoi perché molti tipi di pane sono a consumo personale, ma in tempi andati aveva una valenza molto forte. Uno stare assieme, un essere parte di uno stesso corpo. Veniva generalmente spezzato dal capofamiglia, quando il desco era un momento di unione della famiglia.

È stato spezzato da Gesù e distribuito ai suoi, assieme al vino passato nell’unico calice, a simboleggiare il suo corpo e il suo sangue. Simboleggiare, perché come leggiamo in Giovanni 6 (il vangelo che non riporta l’ultima cena) gli ebrei l’avevano inteso in senso letterale ed erano rimasti scandalizzati perché la Legge non prevedeva il cannibalismo.

Uno dei pani più famosi in Italia è quello di Altamura, in Puglia, atto ad essere conservato e spezzato a tavola, poche persone però sanno che il nome di Betlemme, la città di Davide e della nascita di Gesù vuol dire “Casa di pane ”. בֵּיִת לֶחֶם, [Beit Leḥem]. Si può anche non saperlo, ma questa città a otto chilometri da Gerusalemme, patria di Davide e Ruth, che ha visto nascere Gesù ha la sua importanza nella storia della salvezza.

FINE DI UN’EPOCA

13 Apr

Tonino

All’universo mondo questo annuncio non dice niente, perché non stiamo parlando del Caffè Pedrocchi di Padova o del Caffè degli Specchi di Trieste con la sua splendida piazza dell’Unità d’Italia, ma la cessazione dell’attività del “Bar La Villa” (il bar dei giardinetti per capirci o meglio, proprio “da Tonino”), lascia un vuoto nelle abitudini, a cominciare dai bambini con il loro vai e vieni dalle altalene e gli scivoli chi per una caramella, chi per un bicchiere d’acqua o un pacchetto di patatine, ai passanti che entravano a leggere il giornale qualche volta a sbafo, fino ai vecchietti, che in un paese agricolo vestito da città si incontrano per discutere ogni giorno delle stesse cose: la previdenza, le semine, gli innesti e le potature, la siccità, che pronunciano sìccita, la morte di Vituccio o Nunziatina, che hanno appena letto sui manifesti mortuari, che erano ancora giovani, e che tutti pensavano essere in salute.

Costruiranno, si dice, un bar più moderno, e nell’attesa c’è chi migrerà verso un altro luogo e quanti, come i vecchi di Claudio Baglioni si siederanno sulle panchine, nei giorni di sereno, aspettando un amico che forse non si presenterà e nel dubbio si alzeranno e andranno a dare un’occhiata agli annunci pensando: “eppure l’ho visto ieri”.

Di sicuro, dopo cinquant’anni, non passerà più Tonino.

REINVENTARSI

12 Apr

Visto il calo d’interesse verso la letteratura e il corrispondente incremento dei vari “Masterchef” Dante, da buon toscano ha aperto un frantoio, il Boccaccio  un’industria conserviera, mentre l’emiliano Ariosto un opificio di aromi da cucina. 🙂

PER AMORE

8 Apr

Ieri pomeriggio Rai5, il canale culturale, ha trasmesso La sinfonia delle stagioni un omaggio all’Aquila di Nicola Piovani, noto ai più per la colonna sonora del film La vita è bella.

Il Maestro l’ha composta e ne ha fatto omaggio alla città nel decennale del terremoto, così come l’architetto Renzo Piano ha regalato alla città di Genova il progetto del ponte sul Polcevera che sostituirà il ponte Morandi.

Facile fare i mecenati quando si è pieni di soldi”, potrebbe dire qualcuno.

A Grottaglie, il paese delle ceramiche una persona si scandalizzò per l’alto prezzo di un piatto decorativo. L’artista le fece notare che il valore aggiunto non stava nel piatto di ceramica, che pure era grande, né nei colori, ma nel suo estro che l’aveva pensato, prima di dipingerlo.

Così Nicola Piovani avrebbe potuto commercializzare la sua sinfonia anziché darla in dono e venderla alla città dell’Aquila per l’occasione, ma non l’ha fatto, dando così l’esempio che in un mondo nel quale il valore di quasi tutto si misura in denaro, bisogna sapere andare contro corrente e donare il proprio talento per amore.

Grazie Maestro!

LA STRANA SPIRITUALITÀ DI RAI1

7 Apr

Ieri sera, dopo il Tg1 60 secondi a beneficio dei tiradardi si è esibita di nuovo a “Ballando con le stelle” suor Cristina Scuccia.

Dicono che il suo saio sia stato alleggerito e aumentati i denari delle sue calze. Però è stato quantomeno ridicolo vederla ballare con Stefano Oradei impugnando un manico di scopa per evitare il contatto fisico con un uomo che però, contraddicendosi alla grande, ha abbracciato a fine esibizione al momento del “batti cinque”.

Completamente fuori luogo la lettura del salmo 150, che parla degli strumenti di lode non del ballo. Avesse voluto essere  preciso Guillermo Mariotto avrebbe dovuto citare Miriam, la sorella di Mosè, che con le donne comincia a ballare spontaneamente dopo il passaggio del Mar Rosso (Esodo 15:20).

Del tutto discutibile l’affermazione di Carolyn Smith secondo cui il flamenco è un ballo sprituale nel senso di elevazione a Dio. Includiamo anche la pizzica o altri?

L’unico commento serio è stata la perplessità di Ivan Zazzeroni, che ha anche puntualizzato come la suora è l’unica partecipante a cantare. Al momento del voto ha dato un 8, perché come mi ha puntualizzato in un twitt, il voto era riferito alla tecnica del ballo e non alle sue riserve.

Ballando con le stelle è un programma di ballo, di intrattenimento, di svago, non di lode a Dio, e alla lunga anziché rafforzarla può finire con il banalizzarla.