Ieri, all’Altare della Patria e al Sacrario di Redipuglia prima, in piazza dell’Unità d’Italia a Trieste poi, si è ufficialmente concluso l’anno di celebrazioni delle Grande Guerra.
Sono trascorsi cento anni da quella che ancor oggi è chiamata la guerra di posizione più cruenta dell’epoca moderna. Forse in quest’anno i giovani hanno imparato qualcosa, gli adulti certamente no se in giro per il mondo ci sono più o meno 104 conflitti dichiarati e altri non dichiarati, come le frequenti e ripetute sospensioni dell’accordo di Schengen, se è vero che la violenza verbale fa male, in modo pur diverso, al pari di quella fisica.
Dopo la Grande Guerra ci sono state, cito a soldoni, la Seconda Guerra mondiale, la guerra in Vietnam, la guerra sottovalutata della ex Jugoslavia con l’assedio di Sarajevo, le due guerre del Golfo, la guerra tra Israele e Palestina, le guerre a lungo dimenticate dai media in Siria e Yemen, la guerra non dichiarata degli islamici.
I libri su cui riflettere non mancano, oltre al romantico Addio alle armi il più realistico Niente di nuovo sul fronte occidentale, il Diario di Anne Frank, Se questo è un uomo e La tregua, Il Sergente nella neve e Il ritorno, La guerra che non si può vincere e Con gli occhi del nemico, per citarne solo alcuni.
I grandi della Terra, però, continuano a non capire, a non voler smorzare il proprio ego, ad alzare la voce, a minacciare, ed è notizia di questi giorni la nuova tensione tra gli Stati Uniti e l’Iran.
Quindi è giusto onorare i morti e raccontare la storia ai giovani, affinché sappiano e forse riescano a costruire un mondo migliore ma ora per favore giriamo pagina.
La festività del 4 novembre, anche in linea con le trasformazioni dell’Europa, è stata mutata da anacronistica “giornata della vittoria” in “giorno dell’unità nazionale e giornata delle Forze Armate”.
Per questo motivo, pur riconoscendo il valore e l’abnegazione dei nostri soldati a fianco della Protezione Civile per far fronte alle calamità nazionali, come ha ricordato ieri il Presidente Mattarella, sono dell’opinione che il 2 giugno, “festa della Repubblica”, non vada celebrata con una sfilata militare, anche in ossequio all’art. 11 della Costituzione, ma con una sfilata di maestri, colf, operai, panettieri, imprenditori, muratori, fabbri (scritti in ordine sparso, aggiungete il mestiere o la professione che vi pare), perché sono questi, e non le Forze Armate come ha detto ieri la ministra Trenta nel suo discorso a Trieste, la spina dorsale del Paese.
Forse così i nostri figli e i nostri nipoti potranno sperare in un’Italia, in un’Europa, in un mondo migliori, anche con dei confini laddove siano opportuni, perché empatia non è il volemose bene a tutti i costi, ma il rispetto reciproco.
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