Archivio | uomini RSS feed for this section
Immagine

DISPARITÀ?

22 Feb

Attenzione_scuola

LA PANCHINA ROSSA NON È VUOTA

1 Nov

panchine-777x340

La panchina rossa di novembre non è vuota come potrebbe sembrare.

È affollata da tutte quelle donne la parola delle quali nei millenni non è stata ritenuta degna di credibilità, che a differenza degli uomini hanno dovuto dimostrare la loro innocenza anche con atti umilianti, come l’esposizione del lenzuolo nunziale a testimonianza della loro castità prematrimoniale, che sono state messe al rogo senza troppi scrupoli come le presunte streghe di Salem, che contrariamente a quanto prevede la nostra Costituzione non hanno ancora, a fine 2019, ottenuto la parità di rango, anche solo la parità salariale, che fin dalla nascita sono state considerate improduttive, dei maschi mancati ben espresso nel detto siciliano “nottata persa e figlia femmina” alla nascita di una bambina, anche se sappiamo che le donne sono state e sono le colonne portanti della società e dell’economia, che, nelle parole di Emilio Brentani in Senilità, romanzo di Italo Svevo, non sono state e nella mentalità di molti non sono tuttora “piú di un giocattolo”, da abbandonare o spesso ammazzare dopo l’uso. Le donne oggetto di matrimoni combinati, non solo “ai piani alti” per conservare la dinastia di un impero o di un regno, ma anche terra terra, oggetto di accordi tra famiglie per i matrimoni riparatori in seguito a un abuso, ai quali per prima seppe opporsi con fermezza Franca Viola, ragazza di 17 anni negli anni ‘60 in Sicilia, rendendo inefficace l’articolo 544 del Codice Penale, le donne da sempre bottino di guerra a soddisfazione dei vincitori, e se non violentate rapite contro la loro volontà, come nel ratto delle Sabine che ci hanno insegnato alle elementari, quando eravamo troppo piccoli per capire, d’altra parte era la storia della costruzione di Roma vuoi mettere?

I loro nomi? Alcuni sono ben noti come Ipazia di Alessandria, ammazzata dal fanatismo pseudo cristiano per essersi messa a studiare e aver avuto l’ardire di insegnare svolgendo un lavoro riservato agli uomini, tornata in auge nel 2009 per il film di Alejandro Amenábar Agorà e poi “ripiegata e riposta nel cassetto” per la prossima occasione, come molti fanno col Tricolore per i Mondiali, Artemisia Gentileschi, violentata dal maestro di pittura a cui l’aveva affidata il padre, o Hester Prynne, protagonista del romanzo La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne, condannata dalla comunità locale di puritani che te li raccomando a portare un simbolo significativo della sua vergogna per non aver voluto rivelare chi fosse il padre del frutto del peccato, come si diceva fino a non troppo tempo fa, pensiamo solo ai cognomi col prefisso certo non nobiliare de o della seguiti da nome femminile che indicavano il figlio di una ragazza madre, al divieto di nove mesi di convolare a nuove nozze per una vedova per essere certi di chi fosse il padre dell’eventuale nascituro, oppure, per restare in letteratura, il falso pudore nel tradurre in La Lucrezia violata il titolo dell’opera di William Shakespeare The Rape of Lucretia, perché la parola stupro, nel cartellone di un teatro sta proprio male!

Ci sono dei nomi che non troverete mai perché molte donne per poter studiare, agire e presentare le loro opere hanno dovuto usare pseudonimi maschili come quelli di Currer, Ellis e Acton Bell, scelti rispettivamente dalle scrittrici Charlotte, Emily e Anne Brontë, usati per sfuggire ai pregiudizi e ai costumi dell’epoca ottocentesca, come Nelle Harper Lee, del secolo scorso, autrice de Il buio oltre la siepe che rinunciò al primo nome per lasciare l’impressione di essere un uomo, o, peggio, di quelle donne che sono mogli o figlie vittime di quella violenza domestica che non trasuda dai muri perché per vergogna, per paura o per scarsa fiducia nelle Istituzioni, non hanno il coraggio di denunciare. I loro nomi purtroppo si leggono a cose fatte sulle loro tombe.

Per questo dobbiamo tener alta l’attenzione tutto l’anno, altrimenti a poco serve la carrellata di eventi del 25 novembre.

DISUGUALI – 2

9 Mar

Ho ricevuto in regalo una T-shirt di Robe di Kappa. Il logo, che non riproduco perché abbastanza famoso mi piace, e lo cito spesso per indicare la parità di genere.

Pare che l’abilità del fotografo sia stata di fotografare i due giovani seduti schiena contro schiena durante una loro pausa di riposo. Le foto spontanee sono spesso le migliori.

Mi piace perché i due non sono uno di fronte all’altra, posizione che farebbe pensare forse solo all’atto sessuale, ma seduti con la schiene che si sostengo l’una l’altra, in un reciproco aiuto.

La seguente è una mia riflessione sulla parità tra uomo e donna scritta un paio di anni fa.

Disuguale” non è “differente” o “diverso”. Dis-uguali, uguali ma diversi, non è un gioco di parole o un esercizio di stile, è il senso del “Dio creò l’essere umano a sua immagine, a immagine di Dio lo creò (al singolare!), maschio e femmina li creò (al plurale)” (Genesi 1.27).

Essere umano” e non “uomo”, come troviamo nelle traduzioni in italiano, rende l’idea di הָֽאָדָם֙ in ebraico e di τὸν ἄνθρωπον in greco, lingua della traduzione chiamata “Settanta”, cui fanno riferimento tutte le citazioni nel Nuovo Testamento.

Essere umano, dunque, unico, diviso nel verso successivo in due identità, maschile e femminile. Lo stesso concetto è espresso nella narrazione di Genesi 2:18-25, testo che sappiamo essere antecedente a Genesi 1, ed è bene espresso nelle parole dell’uomo, “Allora l’uomo disse, “Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta”, senza alcuna pretesa di superiorità da parte dell’uomo (l’ebraico, a differenza dell’italiano, ha lo stesso termine per uomo e donna, come i nostri figlio e figlia, cugino e cugina).

Dal punto di vista dell’ebraismo rabbinico non cambia gran che, perché la sottomissione della donna ha altre origini, per un certo cristianesimo neppure perché si fa forza del castigo dopo il peccato in Eden “Alla donna disse, “Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà” (Genesi 3:16).

La storia, antica ma neppure recente, non si fa con i “se” e con i “ma”. Certo però che se per onestà si leggesse Genesi 1:27 per quello che dice e non per ciò che si vuole che dica, oggi le cose potrebbero cambiare.

EMILIO BRENTANI, LE DONNE E I GIOCATTOLI

19 Dic

Emilio Brentani, protagonista del romanzo Senilità di Italo Svevo di cui oggi ricorre l’anniversario della nascita, novello don Rodrigo, ma molto più pavido, si era invaghito di Angiolina la protagonista femminile.

Subito, con le prime parole che le rivolse, volle avvisarla che non intendeva compromettersi in una relazione troppo seria. Parlò cioè a un dipresso così: – T’amo molto e per il tuo bene desidero ci si metta d’accordo di andare molto cauti. – La parola era tanto prudente ch’era difficile di crederla detta per amore altrui, e un po’ più franca avrebbe dovuto suonare così: – Mi piaci molto, ma nella mia vita non potrai essere giammai più importante di un giocattolo. Ho altri doveri io, la mia carriera, la mia famiglia.

La sua famiglia? Una sola sorella non ingombrante né fisicamente né moralmente, piccola e pallida, di qualche anno più giovane di lui, ma più vecchia per carattere o forse per destino. Dei due, era lui l’egoista, il giovane; ella viveva per lui come una madre dimentica di se stessa, ma ciò non impediva a lui di parlarne come di un altro destino importante legato al suo e che pesava sul suo, e così, sentendosi le spalle gravate di tanta responsabilità, egli traversava la vita cauto, lasciando da parte tutti i pericoli ma anche il godimento, la felicità. A trentacinque anni si ritrovava nell’anima la brama insoddisfatta di piaceri e di amore, e già l’amarezza di non averne goduto, e nel cervello una grande paura di se stesso e della debolezza del proprio carattere, invero piuttosto sospettata che saputa per esperienza”.

Più tardi – ma questo Italo Svevo non poteva saperlo – Patti Pravo nella sua canzone La bambola, chiarì il punto di vista delle donne, ma molti uomini la pensano ancora come l’Emilio di Italo Svevo. 😦

CHI DI VOI (SIGNORI UOMINI)?

22 Lug

E tornarono ciascuno a casa sua. Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. Ma all’alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava. Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”. Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell’interrogarlo, alzò il capo e disse loro: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi. Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Ed essa rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù le disse: “Neanch’io ti condanno; va e non peccare più”. (Giovanni 7:59 – 8:11)

Questo è uno dei brani più famosi del Nuovo Testamento, per quel “Chi di voi è senza peccato…”, usato come metafora in altri contesti.

Il protagonista non è l’adultera al centro della scena, che gli scribi e i farisei portarono a Gesù chiedendogli cosa fare di lei, perché nella loro domanda domanda era già insita la riposta.

Gesù non presta loro attenzione e solo sulle loro insistente dà la famosa autorizzazione che mette in crisi le coscienze degli uomini perché fingono di non rammentare che anche l’uomo doveva essere lapidato e uno alla volta, cominciando dai più anziani, se ne vanno. Ma neppure questo, anche e se importante, è il tema dell’episodio.

Ciò che conta veramente sono le parole di Gesù alla donna:Neppure io ti condanno, va e non peccare più”.

Nell’Antico Testamento, e Gesù è stato un ebreo vissuto nell’Antico Testamento salvo a ribaltarne le regole, era la donna a dover provare la propria innocenza cosa peraltro difficile perché la testimonianza di una donna non aveva valore.

Questo è un pensiero che ripropongo di tanto in tanto, perché pare proprio che nel 2018 le cose non siano cambiate gran che se una donna vittima di una violenza è ancora costretta a provare la propria innocenza, e spesso le viene risposto che “se l’è cercata”.

METÀ DI CHI!?

10 Gen

Nella fiction Romanzo famigliare, trasmesso a puntate da Rai1 tre cose, per ora, sono saltate all’orecchio:

Il termine famigliare, su cui è intervenuta il 9 gennaio con un twitt esplicativo l’Accademia della Crusca (essendoci libertà di scelta io continuerò a scrivere famigliare).

La pronuncia veneta dell’allieva che almeno a me ha rammentato l’appuntato della saga “Pane, amore e…”, quello impacciato soprattutto nei rapporti con la “Marescialla”.

Ma ancor di più mi ha colpito una frase del Comandante dell’Accademia Navale di Livorno e un’allieva nel colloquio sul comportamento di lei e sulle conseguenti divergenze di opinioni tra i due circa i compiti della Marina Militare (da 16’17”).

I[…] In marina abbiamo fatto entrare delle ragazze, non dei mezzi maschi esaltati, per fare questa vita non deve sacrificare niente, neanche la possibilità di fare dei figli”.

Delle ragazze, non dei mezzi maschi (esaltati o meno che siano) è senza timor di dubbio un’espressione sessista che ben si colloca nell’attuale dibattito sulla parità di genere e parità salariale.

Probabilmente lontana dalla realtà, che visto che il servizio militare femminile è stato introdotto in Italia nel 1999 e dopo il legittimo stupore causato da ogni novità oggi è un fatto normale. Ciò non toglie che siano casi di molestie così come esistono i casi di nonnismo.

Ciò che proprio non va è considerare la donna metà dell’uomo, nel servizio militare come in ogni altra occasione.

BORDERLIFE

29 Dic

In questi tempi di rivendicazioni su Gerusalemme questo è un romanzo d’amore non privo di risvolti politici che purtroppo coinvolgono tutti quelli che, ai due fronti di un confine, quel confine lo subiscono.

Libro per chi segue la questione israelo-palestinese, che vede in conflitto i due popoli dal 1948, quando con la risoluzione Onu 181 del 1947 la Palestina fu divisa in due e abbia letto, tra gli altri, i due libri dell’israeliano David Grossman, “La guerra che non si può vincere”, in cui l’autore, politicamente impegnato, non vede come si possa realizzare l’idea di “una terra due nazioni” e “Con gli occhi del nemico”, in cui si sforza di guardare con obiettività il conflitto dal punto di vista dei Palestinesi.

Dorit Rabinyan, ebrea e israeliana, nel romanzo Borderlife (Vita di confine) racconta della relazione tessuta a New York, in territorio neutro, con un coetaneo palestinese. Romanzo di grande successo in Israele anche grazie al divieto di leggerlo nelle scuole, così come Israele lo scorso anno annullò il premio letterario nazionale per non conferirlo a Grossman.

Le difficoltà di convivenza non sono evidenziate dalle due lingue differenti ma affini, perché i due parlano tra loro in inglese, ma dalle divergenze culturali su ciò che è la Palestina e su ciò che è stata e è l’occupazione israeliana.

Lait, la donna, rimane scioccata da un filmato del fratello di Hilmi, l’uomo, nel quale in una ripresa dal nono piano di un edificio a Ramallah vede praticamente casa sua. L’idea del muro che Israele ha eretto, uno dei tanti muri della vergogna, uno di quelli che noi europei abbiamo cominciato a conoscere dopo la caduta del muro di Berlino, quello di ferro tra Gorizia e Nova Gorica /Nova Gorìza/ la mezza città passata prima alla Jugoslavia e poi alla Slovenia, smantellato all’ingresso della Slovenia nell’area Schengen. Improvvisamente sono sorti quello tra Israele e Palestina, quelli di filo spinato dell’Ungheria e della Slovenia a difesa dei loro confini dai migranti del ventunesimo secolo, quello minuscolo ma significativo dell’Arcella, un rione di Padova, a difesa dagli spacciatori, fino a quello che divide gli Stati Uniti dal Messico e che l’amministrazione Trump ha intenzione di completare… noi che alle elementari avevamo imparato solo la Grande Muraglia Cinese. Un muro nel quale c’è sempre un varco non sorvegliato ma che non può fermare le idee, anche se espresse in due lingue diverse, i colloqui telefonici con lo stesso prefisso e fatti in quella moderna lingua franca che è l’inglese.

Differenze culturali che emergono durante una cena con amici palestinesi di lui quando la discussione va su di tono e lei cita la Shoà, pentendosi subito di averlo fatto.

Paura che la sua relazione con un arabo, oggetto di sicura riprovazione, nelle email alla sorella e nelle telefonate a casa sia scoperta a causa di una sua parola di troppo o inopportuna, la sua naturale paura femminile di rimanere incinta di un arabo. Lui che rimane ferito da tutte queste ritrosie e queste azioni prudenti di lei, quasi che lei si vergognasse della relazione.

Ma tanta dolcezza in quelle telefonate di venerdì sera, che per gli ebrei è l’inizio del sabato (il giorno ebraico comincia al tramonto, il “fu sera e fu mattina” della creazione secondo la Bibbia).

Shabbat shalom” (letteralmente pace sabbatica), l’amorevole saluto familiare della cena del sabato in cui la famiglia si ritrova. Il primo comandamento dato all’uomo, e ribadito al popolo di Israele quando, con Mosè, esso prese coscienza di essere una nazione, è il riposo del sabato, come il Signore si riposò dopo la creazione.

La cena di pasqua celebrata assieme, per ricordare ma anche per insegnare ai piccoli il suo significato che, in tono minore, riunisce ogni venerdì sera in un gesto di amore le famiglie.

La nostra società invece, non le singole persone o famiglie, è riuscita a banalizzare tutto con i regali di natale, le uova di pasqua, e con il detto “Natale con i tuoi e pasqua con chi vuoi”, dimenticando che la pasqua è per antonomasia la festa da trascorrere in famiglia.

Senza appropriarci del senso della pasqua ebraica che non ci appartiene, dovremmo però far nostro il senso di famiglia che essa ci insegna, soprattutto in questo momento nel quale da più parti si invoca il dialogo con i figli.

Cominciando a insegnare loro fin da piccoli il senso dell’amore della famiglia forse si riescono a superare assieme pur sui fronti opposti le battaglie proprie dell’adolescenza – fatta spesso di “tu non capisci niente!”, età balorda ma indispensabile nella formazione di uomo e di una donna

TU VIVRAI

27 Dic

Vent’anni fa Lucio Battisti cantava Io vivrò, storia di un uomo lasciato dalla sua donna, conosciuta forse di più con l’incipit “Che non si muore per amore”. Riascoltatela e notate tutte le cose che quest’uomo si propone di fare, anche quando lei gli torna nella mente.

L’unica azione assente è io ti ammazzerò, entrata però così prepotentemente nella quotidianità dei giorni nostri.

Sarebbe bello che diventasse realtà, e gli uomini di fronte ad un amore naufragato riuscissero a farsi da parte civilmente.

UOMINI E DONNE GIOCATTOLO

19 Dic

Italo Svevo nacque il 19 dicembre 1861 in quella Trieste che lo vide compagno di Umberto Saba e James (Giacomo) Joyce.

Nel romanzo Senilità, ambientato a Trieste, racconta della vita di Emilio Brentani, un impiegato senza troppe aspirazioni in una compagnia di assicurazioni, e delle sue presunte avventure amorose con Angiolina Zarri, donna totalmente diversa da lui.

L’incipit del romanzo è la descrizione di un uomo che considera la donna come un oggetto usa e getta, come, purtroppo ce ne sono anche nella realtà.

Subito, con le prime parole che le rivolse, volle avvisarla che non intendeva compromettersi in una relazione troppo seria. Parlò cioè a un dipresso così: – T’amo molto e per il tuo bene desidero ci si metta d’accordo di andare molto cauti. – La parola era tanto prudente ch’era difficile di crederla detta per amore altrui, e un po’ più franca avrebbe dovuto suonare così: – Mi piaci molto, ma nella mia vita non potrai essere giammai più importante di un giocattolo. Ho altri doveri io, la mia carriera, la mia famiglia.

La sua famiglia? Una sola sorella non ingombrante né fisicamente né moralmente, piccola e pallida, di qualche anno più giovane di lui, ma più vecchia per carattere o forse per destino. Dei due, era lui l’egoista, il giovane; ella viveva per lui come una madre dimentica di se stessa, ma ciò non impediva a lui di parlarne come di un altro destino importante legato al suo e che pesava sul suo, e così, sentendosi le spalle gravate di tanta responsabilità, egli traversava la vita cauto, lasciando da parte tutti i pericoli ma anche il godimento, la felicità. A trentacinque anni si ritrovava nell’anima la brama insoddisfatta di piaceri e di amore, e già l’amarezza di non averne goduto, e nel cervello una grande paura di se stesso e della debolezza del proprio carattere, invero piuttosto sospettata che saputa per esperienza”.

Molti uomini la pensano ancora così. 😦

CHI DI VOI (SIGNORI UOMINI)

26 Nov

E tornarono ciascuno a casa sua. Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. Ma all’alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava. Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”. Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell’interrogarlo, alzò il capo e disse loro: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi. Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Ed essa rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù le disse: “Neanch’io ti condanno; va e non peccare più”. (Giovanni 7:59 – 8:11)

Questo è uno dei brani più famosi del Nuovo Testamento, per quel “Chi di voi è senza peccato…”, usato come metafora in altri contesti.

Il protagonista non è l’adultera al centro della scena, che gli scribi e i farisei portarono a Gesù chiedendogli cosa fare di lei, perché nella loro domanda domanda era già insita la riposta.

Gesù non presta loro attenzione e solo sulle loro insistente dà la famosa autorizzazione che mette in crisi le coscienze degli uomini perché fingono di non rammentare che anche l’uomo dev’essere lapidato e uno alla volta, cominciando dai più anziani, se ne vanno. Ma neppure questo, anche e se importante, è il tema dell’episodio.

Ciò che conta veramente sono le parole di Gesù alla donna:Neppure io ti condanno, va e non peccare più”.

Nell’Antico Testamento, e Gesù è stato un ebreo vissuto nell’Antico Testamento salvo a ribaltarne le regole, era la donna a dover provare la propria innocenza cosa peraltro difficile perché la testimonianza di una donna non aveva valore.

Pare però che nel 2017 le cose non siano cambiate gran che se una donna vittima di una violenza è ancora costretta a provare la propria innocenza, e spesso le viene risposto che “se l’è cercata”.