Archivio | marzo, 2017

TORNEREMO A SCRIVERE GRRL?

31 Mar

Riferisce Il Piccolo che Facebook ha censurato un nudo artistico esposto in una mostra a Gorizia.

Facebook, che è americana, dovrebbe ben sapere che  l’inglese ha due termini differenti per nudo, naked, la situazione naturale, nude, quella pornografica.

Il corpo umano, maschile e femminile, è un’opera d’arte, pensiamo ai celeberrimi David di Michelangelo e La nascita della Venere di Botticelli che, pur coprendosi le pudende, lascia poco spazio all’immaginazione.

C’è un confine tra pornografia e arte in questa foto, tratta da un’altra mostra?

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Dopo i tristi casi dei mutandoni della Cappella Sistina e la censura da parte dell’ex presidente del consiglio in occasione della visita del leader iraniano, si pensava di essere passati oltre.

Queste sono tre immagini di persone in fuga, una artistica e due reali.

Solo una persona disturbata può soffermarsi sulla nudità della bambina in fuga anziché sul terrore espresso nel suo volto.

Come non si può fare di ogni erba un fascio, così Mr. Zukemberg non dovrebbe fidarsi troppo dei software di censura.

Altrimenti dovremmo tornare a scrivere grrl anziché girl per timore di essere bloccati e coprire una marea di statue nelle nostre città esposte alla vista dei bambini, che non ci fanno caso. 

UOMINI E DONNE GIOCATTOLO

31 Mar

Italo Svevo naque in quella Trieste che lo vide compagno di Umberto Saba e James (Giacomo) Joyce.

Nel romanzo Senilità, ambientato a Trieste, racconta della vita di Emilio Brentani, un impiegato senza troppe aspirazioni in una compagnia di assicurazioni, e delle sue presunte avventure amorose con Angiolina Zarri, donna totalmente diversa da lui.

L’incipit del romanzo è la descrizione di un uomo che considera la donna come un oggetto usa e getta, come, purtroppo ce ne sono anche nella realtà.

Subito, con le prime parole che le rivolse, volle avvisarla che non intendeva compromettersi in una relazione troppo seria. Parlò cioè a un dipresso così: – T’amo molto e per il tuo bene desidero ci si metta d’accordo di andare molto cauti. – La parola era tanto prudente ch’era difficile di crederla detta per amore altrui, e un po’ più franca avrebbe dovuto suonare così: – Mi piaci molto, ma nella mia vita non potrai essere giammai più importante di un giocattolo. Ho altri doveri io, la mia carriera, la mia famiglia.

La sua famiglia? Una sola sorella non ingombrante né fisicamente né moralmente, piccola e pallida, di qualche anno più giovane di lui, ma più vecchia per carattere o forse per destino. Dei due, era lui l’egoista, il giovane; ella viveva per lui come una madre dimentica di se stessa, ma ciò non impediva a lui di parlarne come di un altro destino importante legato al suo e che pesava sul suo, e così, sentendosi le spalle gravate di tanta responsabilità, egli traversava la vita cauto, lasciando da parte tutti i pericoli ma anche il godimento, la felicità. A trentacinque anni si ritrovava nell’anima la brama insoddisfatta di piaceri e di amore, e già l’amarezza di non averne goduto, e nel cervello una grande paura di se stesso e della debolezza del proprio carattere, invero piuttosto sospettata che saputa per esperienza”.

Molti uomini la pensano ancora così. 😦

COSE FATTE A METÀ?

30 Mar

Faccio un bonifico con addebito in conto.

Il beneficiario mi avvisa che non gli è arrivato.

Chiedo info alla banca. L’errore è loro. Mi dicono che avrei ricevuto il rimborso tra un mese.

Mi arriva una lettera che mi invita a recarmi allo sportello a riscuotere il rimborso.

Mi aspettavo l’accredito in conto senza dover perdere tempo.

Cose a metà nel 2017?

P.s. Il rimborso prevedeva solo il capitale senza le spese del bonifico.

I MIEI COMPAGNI

25 Mar

25, martedì

Il ragazzo che mandò il francobollo al calabrese è quello che mi piace più di tutti, si chiama Garrone, è il più grande della classe ha quasi quattordici anni, la testa grossa, le spalle larghe; è buono, si vede quando sorride; ma pare che pensi sempre, come un uomo. Ora ne conosco già molti dei miei compagni. Un altro mi piace pure, che ha nome Coretti, e porta una maglia color cioccolata e un berretto di pelo di gatto: sempre allegro, figliuolo d’un rivenditore di legna, che è stato soldato nella guerra del 66, nel quadrato del principe Umberto, e dicono che ha tre medaglie. C’è il piccolo Nelli, un povero gobbino, gracile e col viso smunto. C’è uno molto ben vestito, che si leva sempre i peluzzi dai panni, e si chiama Votini. Nel banco davanti al mio c’è un ragazzo che chiamano il muratorino, perché suo padre è muratore; una faccia tonda come una mela con un naso a pallottola: egli ha un’abilità particolare, sa fare il muso di lepre, e tutti gli fanno fare il muso di lepre, e ridono; porta un piccolo cappello a cencio che tiene appallottolato in tasca come un fazzoletto. Accanto al muratorino c’è Garoffi, un coso lungo e magro col naso a becco di civetta e gli occhi molto piccoli, che traffica sempre con pennini, immagini e scatole di fiammiferi, e si scrive la lezione sulle unghie, per leggerla di nascosto. C’è poi un signorino, Carlo Nobis, che sembra molto superbo, ed è in mezzo a due ragazzi che mi son simpatici: il figliuolo d’un fabbro ferraio, insaccato in una giacchetta che gli arriva al ginocchio, pallido che par malato e ha sempre l’aria spaventata e non ride mai; e uno coi capelli rossi, che ha un braccio morto, e lo porta appeso al collo: suo padre è andato in America e sua madre va attorno a vendere erbaggi. È anche un tipo curioso il mio vicino di sinistra, – Stardi, – piccolo e tozzo, senza collo, un grugnone che non parla con nessuno, e pare che capisca poco, ma sta attento al maestro senza batter palpebra, con la fronte corrugata e coi denti stretti: e se lo interrogano quando il maestro parla, la prima e la seconda volta non risponde, la terza volta tira un calcio. E ha daccanto una faccia tosta e trista, uno che si chiama Franti, che fu già espulso da un’altra Sezione. Ci sono anche due fratelli, vestiti eguali, che si somigliano a pennello, e portano tutti e due un cappello alla calabrese, con una penna di fagiano. Ma il più bello di tutti, quello che ha più ingegno, che sarà il primo di sicuro anche quest’anno, è Derossi; e il maestro, che l’ha già capito lo interroga sempre. Io però voglio bene a Precossi, il figliuolo del fabbro ferraio, quello della giacchetta lunga, che pare un malatino; dicono che suo padre lo batte; è molto timido, e ogni volta che interroga o tocca qualcuno dice: – Scusami, – e guarda con gli occhi buoni e tristi. Ma Garrone è il più grande e il più buono.

Nel libro Cuore, diario di Enrico Bottini, ragazzo di famiglia borghese, di Franti solo una riga per una nota negativa.

Nell’Iliade, poema epico attribuito a Omero, rammentiamo più il valore di Ettore, lo sconfitto, che quello di Achille, che lo uccise in battaglia.

Nell’Antico Testamento, scritto da persone per le quali il nome era una componente della persona nel frangente della fuga da Sodoma in fiamme troviamo una persona certo conosciuta perché era la moglie di Lot, una delle poche di cui non conosciamo il nome, forse perché, avendo trasgredito l’ordine del Signore, non meritava di essere ricordata.

DIRITTO D’AUTORE

23 Mar

Anni or sono, quando negli ambienti informatici ci si dilettava a disquisire sulla realtà virtuale scrissi una frase ad affetto, ne feci un quadretto e la appesi nel mio ufficio. Per renderla più credibile la attribuì a Blaise Pascal (1623- 1662). Qualcuno la lesse, qualcuno la commentò, qualcuno chiese chi fosse stato questo Blaise Pascal. Finalmente uno, uno solo, disse che Pascal non avrebbe potuto esprimere, ai suoi tempi, un concetto simile.

Tempo fa mi trovavo a ragionare con un amico e, trovandoci a casa mia, gli lessi una paginetta di un libro di Ignazio Silone. L’amico mi fece notare che è una pratica americana quella di citare brani di libri di autori famosi. Sorvolando sull’”americana”, gli risposi che, purtroppo, si fa così per dar peso a concetti nostri che altrimenti non sarebbero presi in considerazione.

Ciò non vuol dire che si debba far passar per proprio tutto ciò che pensiamo, ma è anche vero che il nostro pensiero è in parte formato – uso il presente perché dovrebbe essere sempre in aggiornamento – anche da ciò che abbiamo udito o letto, siano le nostre fonti i filosofi greci, Topolino, Peppa Pig o Wikipedia (poi la differenza vien fuori da sé).

Le citazioni servono anche per dare il giusto credito all’autore, che è corretto citare in uno scritto o in un evento pubblico. Non siamo più, infatti, ai tempi di Esopo che, traducendola in greco, fece passar per sua la favola “Gli alberi e l’ulivo” che aveva copiato dal libro dei Giudici 9:8-15 (che avesse copiato lui si deduce dalla cronologia), un po’ come quando l’apostolo Paolo ripropose il celebre apologo di Menenio Agrippa in 1.a Corinzi 12:12-26.

Ai tempi di Esopo e di Paolo nessuno se la prendeva, se era citato correttamente, anzi era un sistema di divulgazione del pensiero.

Sarebbe bello poterlo fare anche oggi, sentendosi liberi di esprimere il proprio pensiero senza doverlo per forza avvalorare con la citazione di questo o di quell’altro, dai quali, come detto sopra, si è in parte formato.

È forse anche per questa ragione che Twitter è inondati di aforismi e citazioni copiate pari pari e non dal pensiero, espresso ovviamente con altre parole, di chi li propone.

P.S. La frase che avevo attribuito a Pascal è “Parliamo tanto di realtà virtuale senza pensare alla realtà reale con cui dobbiamo fare i conti ogni mattina”.

QUESTIONI DI DIRITTO D’AUTORE Anni or sono, quando negli ambienti informatici ci si dilettava a disquisire sulla realtà virtuale scrissi una frase ad affetto, ne feci un quadretto e la appesi nel mio ufficio. Per renderla più credibile la attribuii a Blaise Pascal (1623- 1662). Qualcuno la lesse, qualcuno la commentò, qualcuno chiese chi fosse stato questo Blaise Pascal. Finalmente uno, uno solo, disse che Pascal non avrebbe potuto esprimere, ai suoi tempi, un concetto simile. Tempo fa mi trovavo a ragionare con un amico e, trovandoci a casa mia, gli lessi una paginetta di un libro di Ignazio Silone. L’amico mi fece notare che è una pratica americana quella di citare brani di libri di autori famosi. Sorvolando sull’”americana”, gli risposi che, purtroppo, si fa così per dar peso a concetti nostri che altrimenti non sarebbero presi in considerazione. Ciò non vuol dire che si debba far passar per proprio tutto ciò che pensiamo, ma è anche vero che il nostro pensiero è in parte formato – uso il presente perché dovrebbe essere sempre in aggiornamento – anche da ciò che abbiamo udito o letto, siano le nostre fonti i filosofi greci, Topolino, Peppa Pig o Wikipedia (poi la differenza vien fuori da sé). Le citazioni servono anche per dare il giusto credito all’autore, che è corretto citare in uno scritto o in un evento pubblico. Non siamo più, infatti, ai tempi di Esopo che, traducendola in greco, fece passar per sua la favola “Gli alberi e l’ulivo” che aveva copiato dal libro dei Giudici 9:8-15 (che avesse copiato lui si deduce dalla cronologia), un po’ come quando l’apostolo Paolo ripropose il celebre apologo di Menenio Agrippa in 1.a Corinzi 12:12-26. Ai tempi di Esopo e di Paolo nessuno se la prendeva, se era citato correttamente, anzi era un sistema di divulgazione del pensiero. Sarebbe bello poterlo fare anche oggi, sentendosi liberi di esprimere il proprio pensiero senza doverlo per forza avvalorare con la citazione di questo o di quell’altro, dai quali, come detto sopra, si è in parte formato. È forse anche per questa ragione che Twitter è inondati di aforismi e citazioni copiate pari pari e non dal pensiero, espresso ovviamente con altre parole, di chi li propone. P.S. La frase che avevo attribuito a Pascal è “Parliamo tanto di realtà virtuale senza pensare alla realtà reale con cui dobbiamo fare i conti ogni mattina”.

23 Mar

QUESTIONI DI DIRITTO D’AUTORE

Anni or sono, quando negli ambienti informatici ci si dilettava a disquisire sulla realtà virtuale scrissi una frase ad affetto, ne feci un quadretto e la appesi nel mio ufficio. Per renderla più credibile la attribuii a Blaise Pascal (1623- 1662). Qualcuno la lesse, qualcuno la commentò, qualcuno chiese chi fosse stato questo Blaise Pascal. Finalmente uno, uno solo, disse che Pascal non avrebbe potuto esprimere, ai suoi tempi, un concetto simile.

Tempo fa mi trovavo a ragionare con un amico e, trovandoci a casa mia, gli lessi una paginetta di un libro di Ignazio Silone. L’amico mi fece notare che è una pratica americana quella di citare brani di libri di autori famosi. Sorvolando sull’”americana”, gli risposi che, purtroppo, si fa così per dar peso a concetti nostri che altrimenti non sarebbero presi in considerazione.

Ciò non vuol dire che si debba far passar per proprio tutto ciò che pensiamo, ma è anche vero che il nostro pensiero è in parte formato – uso il presente perché dovrebbe essere sempre in aggiornamento – anche da ciò che abbiamo udito o letto, siano le nostre fonti i filosofi greci, Topolino, Peppa Pig o Wikipedia (poi la differenza vien fuori da sé).

Le citazioni servono anche per dare il giusto credito all’autore, che è corretto citare in uno scritto o in un evento pubblico. Non siamo più, infatti, ai tempi di Esopo che, traducendola in greco, fece passar per sua la favola “Gli alberi e l’ulivo” che aveva copiato dal libro dei Giudici 9:8-15 (che avesse copiato lui si deduce dalla cronologia), un po’ come quando l’apostolo Paolo ripropose il celebre apologo di Menenio Agrippa in 1.a Corinzi 12:12-26.

Ai tempi di Esopo e di Paolo nessuno se la prendeva, se era citato correttamente, anzi era un sistema di divulgazione del pensiero.

Sarebbe bello poterlo fare anche oggi, sentendosi liberi di esprimere il proprio pensiero senza doverlo per forza avvalorare con la citazione di questo o di quell’altro, dai quali, come detto sopra, si è in parte formato.

È forse anche per questa ragione che Twitter è inondati di aforismi e citazioni copiate pari pari e non dal pensiero, espresso ovviamente con altre parole, di chi li propone.

P.S. La frase che avevo attribuito a Pascal è “Parliamo tanto di realtà virtuale senza pensare alla realtà reale con cui dobbiamo fare i conti ogni mattina”.

TESSERE RELAZIONI

22 Mar

Dopo aver chiarito che è serio chiamare nuove tecnologie quelle che veramente lo sono e non l’informatica in generale e che i nativi digitali spesso sono solo smanettoni, dobbiamo insistere a chiamare i “Social Network” col termine corretto di Social Media e non solo per una questione di proprietà di linguaggio che spesso dimentichiamo nei calchi dalle parole straniere.

Social Network, infatti, è la traduzione inglese di rete sociale, realtà che sono sempre esistite, molto prima di internet e del Web.

Rete, in senso di comunicazione, come si usa anche nel linguaggio industriale, “fare rete”, o per citare la Volpe del Piccolo principe “creare dei legami”, tessere relazioni.

Relazioni che sono sempre esistite, a cominciare dalle donne che andavano al pozzo a prendere l’acqua, come faceva “Dina, la figlia che Lia aveva partorita a Giacobbe, che uscì a vedere le ragazze del paese” (Genesi 34:1), e che ora formano le “comitive” e si incontrano nei centri commerciali o le “bande” spesso rivali dei bambini delle elementari con i nomi più fantasiosi (“Il club dei casinisti” è quella di mio nipote), fino al loro naturale scioglimento quando i ragazzini alle medie cominciano a lavarsi di più e a guardare con imbarazzo, timidezza e interesse le ragazzine, formando gruppi di coppiette a sentir loro indivisibili.

Come quando in paese moriva Gigi e lo si sapeva subito, prima dell’affissione dei manifesti, così come se la Maria si sposava lo sapevano tutti, e la solidarietà, assieme a molte invidie e qualche cattiveria, era una cosa tangibile.

Queste reti sociali debbono essere riproposte e rivissute, non in modalità 2.0 ma di persona, come hanno cominciato timidamente a fare dall’anno scorso in qualche condominio a Milano e non solo, istituendo una spontanea banca del tempo di mutuo aiuto, passando avanti gli abiti buoni ma piccoli dei bambini e così via. Anche il crescente fenomeno del book crossing è, a suo modo, una rete sociale tra ignoti che sembra funzionare.

Andare a trovare qualcuno per il piacere di farlo, anche senza preavviso, perché si passa di lì, come succedeva con mia suocera che in paese di giorno aveva la porta sempre aperta e qualcuno, passando di fretta, la apriva e lanciava un semplice saluto vocale.

O come succede tuttora, d’estate, al trullo, che per antonomasia è un luogo aperto. Salvo le ore canoniche pomeridiane nelle quali in estate nessuno si sogna di andare a disturbare nessuno, l’ospite all’improvviso è all’ordine del giorno e della sera, ci si siede e “si ragiona” (si dialoga) per un un po’.

In città tutto è un po’ più complicato, e  spesso meno spontaneo, vuoi per gli impegni di lavoro, vuoi per le distanze (una delle quali è la difficoltà di parcheggio), però, suvvia, il tempo quando si vuole si trova.

Ora che le giornate si allungano, (a fine settimana avremo anche l’ora legale, con relativo tormentone, ma questa è un’altra storia) incontrarsi con una o più persone per un progetto comune o anche solo per il piacere di stare assieme, rinvigorisce lo spirito.

Ben vengano i Social Media intesi come Social Network perché quando la lontananza è reale, scambiarsi un’email, una foto su WhatsUp o su Telegram o parlarsi con Skype fa bene. Molti Silver surfer (i vecchietti digitali) hanno imparato a usare queste tecnologie, che loro chiamano diavolerie, per tenersi in contatto con i figli che abitano altrove e, in questo modo, vedere crescere i nipoti.

Purché se ne sappia fare l’uso adeguato e non sostituiscano il contatto umano. Molti non hanno più i genitori o i nonni a cui chiedere “Ma come facevate senza telefono?!”.

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È ARRIVATA!!!

21 Mar

Questa è una siepe che costeggia un marciapiede vicino a casa mia.

Siepe

Avreste dovuto vedere e udire qualche giorno fa il via vai e il cinguettio dei passeri che entravano e uscivano a scontrarsi con i passanti, ma gli uccelli non lo fanno mai.

Questo invece è il pino maestoso del nostro trullo.

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Di sera, d’estate, quando le cicale lasciano spazio alla fantasia dell’udito, capita di sentire dei rumori di esseri in movimento, che una volta o l’altra ci arriverà una cartella esattoriale per il presunto affitto.

Benvenuta primavera, e le tue rondini sotto il tetto, anche se san Benedetto è stato “promosso sul campo” a luglio!

ggi a Trieste è una giornata di sole che bisogna proprio uscire nel pomeriggio!

Q. B.

19 Mar

Q. b, quanto basta. Formula culinaria corrispondente più o meno all’italico “dipende”, e si potrebbe finire qui.

È però un segnale del libero arbitrio, perché, dopo la rigidità delle altre dosi in una ricetta, il q.b. dà libertà al cuoco di fare più o meno ciò che vuole, salvo poi essere pronto, perché questa è la contropartita della libertà, ad accettare le critiche

Il q. b. però può e dovrebbe essere esteso individualmente nelle altre aree della vita, perché come ho scritto ieri, ognuno di noi è una persona con esigenze e limiti particolari, che se da una parte è bene essere pronti a tentare di superare per crescere, dall’altra bisogna anche avere l’accortezza di rispettare.

Limiti che nessun altro può imporci, ma è compito di ciascuno di noi identificare.

 

 

PERSONALITÀ

18 Mar

Quando capita, nei discorsi cito tale Lucy van Pelt, e spesso mi chiedono chi sia.

Lucy”, rispondo “la sorella di Linus”. “Ah, ecco!”.

Lucy, antipatica, burbera, piena di sé, innamorata non corrisposta dell’aspirante pianista, con il suo banchetto non di limonata come tutti i bambini americani ma di aiuto psichiatrico a 5 cent (se volete sostituite il nome e volgete gli aggettivi al maschile).

Lucy è unica, come me, come ciascuno e ciascuna di voi. Sarà per questo motivo che un giorno è sbottata con quel famoso

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Lucy non è identificabile solo come la “sorella di Linus”, perché vive di vita propria, come accadde ad una copia di miei amici. Lui più famoso di lei che veniva citata spesso come “la moglie di Orazio”, finché, stufa di questa etichetta, una sera annunciò “urbi et orbi” “Io sono Giulia, non la moglie di Orazio!”.

È per questo motivo che sul mio biglietto da visita, oltre alla mia mitica barba, c’è il nome in grassetto e il cognome no. Perché anche il cognome casale, o maritale per le donne sposate, è certamente utile ma secondario.

Che poi qualcuno veda nell’unicità e itripetibilità di ciascuno di noi un fatto positivo è un’altra storia. 🙂