Ho letto in alcuni twitt che Massimo Giletti nella sua trasmissione su La7 ieri sera ha riproposto il tema della dottoressa Serafina Strano, stuprata mentre prestava servizio alla Guardia Medica di Trecastagni.
La lettera con cui la Compagnia d’assicurazione nega il risarcimento è scritta nella perfetta antilingua di Italo Calvino – che, possiamo essere sicuri, sarà usata ancora per molto tempo – liquidando come infortunio lo stupro subito dalla dottoressa. Infortunio, lo dice la stessa radice semantica, deriva da fortuna, è un evento casuale come uno slogamento di una caviglia o la frattura di un braccio. Un atto di violenza su una donna non è casuale – accantoniamo il discorso di raptus del pover’uomo, che non regge – ma un atto deliberato.
Lasciando da parte la trasmissione che non ho visto, quello della sicurezza dei medici in servizio alle Guardie mediche è un tema ancora di attualità, a tutela di tutti gli operatori e del personale femminile in particolare. A poco serve una videosorveglianza e il collegamento con le Forze dell’ordine ad atto compiuto. A Pordenone per un periodo gli ambulatori sono stati presidiati dai membri dell’ANA, quegli alpini che non smettono mai di esserlo e che, oltre a preparare un piatto di pasta alle biciclettate, sono sempre pronti ad intervenire nei disastri naturali.
Tornando all’antilingua di Italo Calvino e alla definizione generica di infortunio usata dalla Compagnia di assicurazione, ci sono termini che sono entrati nell’uso comune, come stupro e mestruazioni, verso i quali è segno di grande ipocrisia usare degli eufemismi, perché i nostri figli li conoscono e perché non siamo più nell’epoca vittoriana, nella quale era sconveniente per una donna pronunciare il termine “pantaloni”.
Della violenza di genere e in particolare della violenza sulle donne si deve parlare ai ragazzi e alle ragazze fin da piccoli, perché se non lo facciamo noi o la scuola cercheranno le informazioni tra i loro pari o, peggio, dal “dottor Gugl”.
Lo si può fare con i propri figli, magari non ora che sono presi dai libri di scuola, ma proponendo loro l’estate prossima il libro Il buio oltre la siepe, di Harper Lee, ricavato da un fatto vero, che tratta il tema del razzismo nell’Alabama e in Georgia e vede come imputato un giovane di colore, ma che sarà comunque condannato, perché la parola di una donna bianca ha più valore di quella di un nero.
Si può spiegare cos’è una violenza con poche parole, come fa il padre Atticus che nel romanzo risponde alla piccola figlia che tutti chiamano Scott e che, quando richiesto perché impiegasse tempo a difendere un perdente in quanto nero, risponde: “Per vari motivi”, disse Atticus. “Il principale è che se non lo facessi non potrei più andare in giro a testa alta […] e non potrei nemmeno dire a te o a Jem: fa’ questo e non fare quello”. L’esempio viene prima delle parole.
Ci sono libri scritti per ragazzi in realtà destinati agli adulti e viceversa. Questo è uno di quelli. Dipende dalla maturità soggettiva, negli Stati Uniti cominciano a consigliarlo dai dodici anni in su.