Vecchie sono le cose, le persone sono anziane. Siamo vecchi per i bambini, come quando, ospite di amici, la loro figlia di dieci anni vide un divo in televisione e commentò, “Quarant’anni, ma come li porta bene!”. Io e suo padre ci scambiammo un’occhiata come a dire, “Perché, noi?”.
Portare i capelli o la barba bianchi era un punto d’onore nelle società in cui l’anziano era un punto di riferimento, pensiamo al Sinedrio ebraico, al Senato romano o più semplicemente agli anziani delle piccole comunità. Giusti o (più spesso) sbagliati che siano si parla dei consigli della nonna, non della mamma.
Mi ha colpito, rileggendo la fine del vangelo di Giovanni (21:18-22), la gentilezza con la quale Gesù parla della vecchiaia di Pietro,
“In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi”. Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: “Seguimi”.Pietro si voltò e vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: “Signore, chi è che ti tradisce?”. Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: “Signore, che cosa sarà di lui?”. Gesù gli rispose: “Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi””.
Nell’arco di pochi decenni i cambiamenti della società hanno relegato gli anziani ad un ruolo marginale, spesso ad essere un peso. La scomparsa della famiglia patriarcale, nella quale i genitori continuavano ad avere un proprio seppur diverso ruolo, e spesso quando uno dei due rimaneva vedovo entrava nel nucleo familiare di un figlio o di una figlia. L’esempio dei nonni, si sa, è un valore aggiunto nella crescita dei figli al punto che in un mondo che bada al profitto e monetizza tutto si è calcolato anche quando incida il loro contributo sul PIL nazionale.
Ci sono “anziani ancora giovani e giovani nati vecchi”. Tra i primi c’è una mia zia che dice “quand’ero più giovane”, dimostrando di sentirsi piena di vita nonostante i suoi acciacchi. Non sempre infatti l’allungamento della vita si accompagna al mantenimento della prestanza fisica, e allora cominciano i guai. Può bastare una banale caduta tra le mura di casa per cambiare in peggio la vita di una persona, di quelle persone che fino al giorno prima vivevano da sole ed erano autosufficienti.
La nostra società, dopo quella della colf, è riuscita ad inventare la figura della badante – al femminile perché generalmente svolta da donne – che già nel termine è negativa. Non colei che accudisce, si prende cura, ma colei “che bada” ad una persona non autosufficiente. Come sappiamo spesso con difficoltà di inserimento perché vista dall’anzian* che ha le sue legittime abitudini come un corpo estraneo, e altrettante difficoltà di comunicazione quando, straniera, si esprime male in italiano.
Gli anziani da punto di riferimento quali erano sono diventati per molti un peso, “qualcosa” da sistemare da qualche parte prima di andare in ferie, come cantava scherzosamente ma non troppo Domenico Modugno in Il vecchietto dove lo metto? o nella splendida descrizione che ne fa Claudio Baglioni in I Vecchi.
Eppure gli anziani, nel bene e nel male, sono la nostra memoria storica vivente, quelli che hanno vissuto le guerre, l’industrializzazione del Paese, la televisione in bianco e nero con Lascia o raddoppia e Non è mai troppo tardi, della lira, prima del regno e poi della repubblica, il telefono a disco con le interurbane. Non mettiamoli da parte anche perché potrebbe capitare, in un futuro, di essere noi al loro posto e visti i tempi che corrono non è detto che ce la passeremo meglio. Un invito ai giovani. Parlate con i vostri nonni, anche se spesso si ripetono. Li farete sentire utili e vi trasmetteranno i loro ricordi, le loro emozioni, certamente diverse dalle vostre. Se ne siete capaci, riportate in scritto questi colloqui, che, rileggendoli, vi gratificheranno più in là nella vita.
Tag:anziani, relazioni, vita