Archivio | violenza RSS feed for this section

DINA, UNA DI NOI

9 Mar

Le Scritture, si sa, non si soffermano sui fatti di cronaca relativi alla sfera sessuale, sia perché essa era ben codificata, sia perché le ragazze e i ragazzi si sposavano relativamente presto rispetto ad ora e alcuni problemi non sorgevano.

Certo, è raccontato di come il re Davide, invaghitosi di Betsbabea, la moglie di Uria, alla fine lo mandò in battaglia in prima linea per aver campo libero, e della presunzione di innocenza di una giovane se la violenza fosse avvenuta in campagna, perché “forse ha urlato per chiedere aiuto ma nessuno l’ha udita”.

C’è un episodio che per il nome della protagonista e per il luogo potremmo benissimo trasportare nella nostra realtà di oggi.

Dina, la figlia che Lia aveva partorita a Giacobbe, uscì a vedere le ragazze del paese. Ma la vide Sichem, figlio di Camor l’Eveo, principe di quel paese, e la rapì, si unì a lei e le fece violenza. (Genesi 34:1-2).

Modernità, dicevo, perché Dina è un nome ancora in uso, di una ragazza che andò al pozzo a coglier l’acqua – era un compito da donna – e si fermò a parlare con le amiche, come avviene ora con le nostre giovani in piazza o nei centri commerciali.

La storia prende una brutta piega quando Dina non torna a casa ma Sichem, il figlio del principe di quel paese 1) la vede 2) la rapisce e 3) si unisce a lei facendole violenza.

Chi vuole può leggere il resto in Genesi 34.

Molto attuale se pensiamo a quanto succede quasi ogni giorno nelle nostre città, non da parte di figli di principe ma di bullotti qualunque.

Di un’attualità sconcertante che non può lasciare indifferente nessuno, donna o uomo che sia.

COME UN DENTE DI LEONE

14 Dic

dentedileone

Le statistiche più o meno ufficiali ci informano periodicamente su quanto costa crescere una figlia o un figlio, nei suoi primi anni di vita e nel suo percorso scolastico fino alle superiori o all’Università.

Queste statistiche giustamente parlano di danaro e non tengono conto degli altri parametri. Di quanto sia impegnativo crescere una figlia o un figlio sul piano affettivo, educativo – che non è solo quello scolastico – emozionale, tutte variabili che non si possono ma sopratutto non si devono monetizzare.

Tirar su una figlia o un figlio, è un’esperienza bellissima, e anche i padri in questi ultimi anni cominciano volentieri ad esserne coinvolti fin dalla prima infanzia, per tradizione o – diciamolo pure – per comodo, compito fino a poco tempo fa delegato alle madri.

Nessuno nasce imparato” e a volte si sbaglia, anche questo fa parte del gioco, ma l’aspirazione di ogni genitore è dare il massimo alla propria figlia o al proprio figlio, quanto a educazione, scolarità e quanto serve per affrontare la vita una volta diventato indipendente.

Succede invece che per alcune e alcuni un brutto incontro, un incidente stradale o peggio qualcuno, in nome di un’ideologia che niente ha a che vedere con la fede, ponga fine a quella vita, come il soffio su un dente di leone che diverte tanto i bambini.

Dal di fuori non si può comprendere il vuoto lasciato da questa assenza. Pretendere di passarlo al colino spesso della dis-informazione è un atto offensivo verso il dolore altrui. Possiamo, al massimo, provare sentimenti di com-passione.

Dedicato a Antonio Megalizzi, giovane giornalista, che non c’è più.

GLI ZERBINI COME METAFORA

11 Dic

In un condominio ci sono due zerbini, uno del palazzo e l’altro all’ingresso dell’abitazione, le  ville e le casette a schiera ne hanno uno solo, davanti al portoncino.

Fuor di metafora, ci sono degli errori che meritano una seconda possibilità, la violenza sulle donne mai!

BDCzgv4CYAIm_wx

L’INDICE TESO DI FRA’ CRISTOFORO

4 Set

Questa, per chi l’abbia dimenticata, è la storia di fra’ Cristoforo, personaggio chiave nei Promessi Sposi, e del suo dito puntato come quello di Bergoglio che alcuni quotidiani ieri hanno posto come immagine. Anche Lucia Mondella aveva ricevuto, al pari delle donne di oggi, delle avance indesiderate che come minimo chiameremmo stalking. La classe ma soprattutto il motivo per cui fra Cristoforo punta il dito indice contro don Rodrigo sono ben diversi. Può essere, pero, che Bergoglio non abbia puntato alcun indice e i giornali, come spesso fanno, abbiano pubblicato un’immagine di repertorio.

Chi volesse leggere l’intera storia può farlo su liberliber.it

Il padre Cristoforo non era sempre stato così, né sempre era stato Cristoforo: il suo nome di battesimo era Lodovico. Era figliuolo d’un mercante di *** (questi asterischi vengon tutti dalla circospezione del mio anonimo) che, ne’ suoi ultim’anni, trovandosi assai fornito di beni, e con quell’unico figliuolo, aveva rinunziato al traffico, e s’era dato a viver da signore. [..]

Andava un giorno per una strada della sua città, seguito da due bravi, e accompagnato da un tal Cristoforo, altre volte giovine di bottega e, dopo chiusa questa, diventato maestro di casa. Era un uomo di circa cinquant’anni, affezionato, dalla gioventù, a Lodovico, che aveva veduto nascere, e che, tra salario e regali, gli dava non solo da vivere, ma di che mantenere e tirar su una numerosa famiglia. Vide Lodovico spuntar da lontano un signor tale, arrogante e soverchiatore di professione, col quale non aveva mai parlato in vita sua, ma che gli era cordiale nemico, e al quale rendeva, pur di cuore, il contraccambio: giacché è uno de’ vantaggi di questo mondo, quello di poter odiare ed esser odiati, senza conoscersi. Costui, seguito da quattro bravi, s’avanzava diritto, con passo superbo, con la testa alta, con la bocca composta all’alterigia e allo sprezzo. Tutt’e due camminavan rasente al muro; ma Lodovico (notate bene) lo strisciava col lato destro; e ciò, secondo una consuetudine, gli dava il diritto (dove mai si va a ficcare il diritto!) di non istaccarsi dal detto muro, per dar passo a chi si fosse; cosa della quale allora si faceva gran caso. L’altro pretendeva, all’opposto, che quel diritto competesse a lui, come a nobile, e che a Lodovico toccasse d’andar nel mezzo; e ciò in forza d’un’altra consuetudine. Perocché, in questo, come accade in molti altri affari, erano in vigore due consuetudini contrarie, senza che fosse deciso qual delle due fosse la buona; il che dava opportunità di fare una guerra, ogni volta che una testa dura s’abbattesse in un’altra della stessa tempra. Que’ due si venivano incontro, ristretti alla muraglia, come due figure di basso rilievo ambulanti. Quando si trovarono a viso a viso, il signor tale, squadrando Lodovico, a capo alto, col cipiglio imperioso, gli disse, in un tono corrispondente di voce: – fate luogo.

Fate luogo voi, – rispose Lodovico. – La diritta è mia.

Co’ vostri pari, è sempre mia.

Sì, se l’arroganza de’ vostri pari fosse legge per i pari miei. I bravi dell’uno e dell’altro eran rimasti fermi, ciascuno dietro il suo padrone, guardandosi in cagnesco, con le mani alle daghe, preparati alla battaglia. La gente che arrivava di qua e di là, si teneva in distanza, a osservare il fatto; e la presenza di quegli spettatori animava sempre più il puntiglio de’ contendenti.

Nel mezzo, vile meccanico; o ch’io t’insegno una volta come si tratta co’ gentiluomini.

Voi mentite ch’io sia vile.

Tu menti ch’io abbia mentito –. Questa risposta era di prammatica. – E, se tu fossi cavaliere, come son io, – aggiunse quel signore, – ti vorrei far vedere, con la spada e con la cappa, che il mentitore sei tu.

È un buon pretesto per dispensarvi di sostener co’ fatti l’insolenza delle vostre parole.

Gettate nel fango questo ribaldo, – disse il gentiluomo, voltandosi a’ suoi.

Vediamo! – disse Lodovico, dando subitamente un passo indietro, e mettendo mano alla spada.

Temerario! – gridò l’altro, sfoderando la sua: – io spezzerò questa, quando sarà macchiata del tuo vil sangue.

Così s’avventarono l’uno all’altro; i servitori delle due parti si slanciarono alla difesa de’ loro padroni. Il combattimento era disuguale, e per il numero, e anche perché Lodovico mirava piuttosto a scansare i colpi, e a disarmare il nemico, che ad ucciderlo; ma questo voleva la morte di lui, a ogni costo. Lodovico aveva già ricevuta al braccio sinistro una pugnalata d’un bravo, e una sgraffiatura leggiera in una guancia, e il nemico principale gli piombava addosso per finirlo; quando Cristoforo, vedendo il suo padrone nell’estremo pericolo, andò col pugnale addosso al signore. Questo, rivolta tutta la sua ira contro di lui, lo passò con la spada. A quella vista, Lodovico, come fuor di sé, cacciò la sua nel ventre del feritore, il quale cadde moribondo, quasi a un punto col povero Cristoforo. I bravi del gentiluomo, visto ch’era finita, si diedero alla fuga, malconci: quelli di Lodovico, tartassati e sfregiati anche loro, non essendovi più a chi dare, e non volendo trovarsi impicciati nella gente, che già accorreva, scantonarono dall’altra parte: e Lodovico si trovò solo, con que’ due funesti compagni ai piedi, in mezzo a una folla. Riflettendo quindi a’ casi suoi, sentì rinascere più che mai vivo e serio quel pensiero di farsi frate, che altre volte gli era passato per la mente: gli parve che Dio medesimo l’avesse messo sulla strada, e datogli un segno del suo volere, facendolo capitare in un convento, in quella congiuntura; e il partito fu preso. Fece chiamare il guardiano, e gli manifestò il suo desiderio. […]

Ebbene, la consigli di venire a mettersi sotto la mia protezione. Non le mancherà più nulla, e nessuno ardirà d’inquietarla, o ch’io non son cavaliere.

A siffatta proposta, l’indegnazione del frate, trattenuta a stento fin allora, traboccò. Tutti que’ bei proponimenti di prudenza e di pazienza andarono in fumo: l’uomo vecchio si trovò d’accordo col nuovo; e, in que’ casi, fra Cristoforo valeva veramente per due.

La vostra protezione! – esclamò, dando indietro due passi, postandosi fieramente sul piede destro, mettendo la destra sull’anca, alzando la sinistra con l’indice teso verso don Rodrigo, e piantandogli in faccia due occhi infiammati: – la vostra protezione! È meglio che abbiate parlato così, che abbiate fatta a me una tale proposta. Avete colmata la misura; e non vi temo più.

Come parli, frate?…

Parlo come si parla a chi è abbandonato da Dio, e non può più far paura. La vostra protezione! Sapevo bene che quella innocente è sotto la protezione di Dio; ma voi, voi me lo fate sentire ora, con tanta certezza, che non ho più bisogno di riguardi a parlarvene. Lucia, dico: vedete come io pronunzio questo nome con la fronte alta, e con gli occhi immobili.

Come! in questa casa…!

Ho compassione di questa casa: la maledizione le sta sopra sospesa. State a vedere che la giustizia di Dio avrà riguardo a quattro pietre, e suggezione di quattro sgherri. Voi avete creduto che Dio abbia fatta una creatura a sua immagine, per darvi il piacere di tormentarla! Voi avete creduto che Dio non saprebbe difenderla! Voi avete disprezzato il suo avviso! Vi siete giudicato. Il cuore di Faraone era indurito quanto il vostro; e Dio ha saputo spezzarlo. Lucia è sicura da voi: ve lo dico io povero frate; e in quanto a voi, sentite bene quel ch’io vi prometto. Verrà un giorno…”

SENZA “NÍ” E SENZA FORSE

26 Ago

Nei capitoli 34 e seguenti del 2° libro delle Cronache, nella Bibbia, è raccontata la riforma di Giosia, il re che accortosi che Israele con le sue tradizioni e i suoi insegnamenti si era allontanato dalla volontà del Signore non cominciò a tergiversare con i “nì” e con “i dobbiamo verificare” ma “senza se e senza ma”, distrusse tutto ciò che era contrario alla volontà dell’Eterno, compreso il serpente di rame dell’Esodo che il Catechismo della Chiesa cattolica porta a scusa dell’uso delle immagini, e ricominciò tutto di nuovo.

L’unica azione che Bergoglio può fare per combattere in modo concreto la pedofilia ormai radicata nella sua chiesa è imitare il re Giosia demolendo gli intrighi di corte a cominciare dal potere temporale che detiene nella forma di uno stato indipendente e sovrano con tutta la sua burocrazia e i suoi interessi che contrastano con il monito di Gesù di Nazareth “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” e, smesso l’abito bianco e vestito l’abito del pentimento, ricominciare dall’attuazione dei vangeli, che non prevedono né una chiesa gerarchica, né il sacerdozio, né un celibato forzato introdotto con il Concilio di Trento, perché mentre dell’apostolo Paolo aveva scelto la vita da single senza imporla a nessuno e a proposito del matrimonio scrive invece “meglio sposarsi che ardere”, l’apostolo Pietro, dal quale i papi affermano discendere la loro autorità, aveva una suocera, né in tutti i vangeli, gli Atti degli Apostoli e le sue lettere, ci viene detto che l’ha lasciata per la predicazione o è morta.

Altrimenti alla prossima occasione rileggeremo dei vari mea culpa e delle varie promesse prive però di punti programmatici. Punto e a capo di un film già visto.

CHI DI VOI (SIGNORI UOMINI)?

22 Lug

E tornarono ciascuno a casa sua. Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. Ma all’alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava. Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”. Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell’interrogarlo, alzò il capo e disse loro: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi. Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Ed essa rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù le disse: “Neanch’io ti condanno; va e non peccare più”. (Giovanni 7:59 – 8:11)

Questo è uno dei brani più famosi del Nuovo Testamento, per quel “Chi di voi è senza peccato…”, usato come metafora in altri contesti.

Il protagonista non è l’adultera al centro della scena, che gli scribi e i farisei portarono a Gesù chiedendogli cosa fare di lei, perché nella loro domanda domanda era già insita la riposta.

Gesù non presta loro attenzione e solo sulle loro insistente dà la famosa autorizzazione che mette in crisi le coscienze degli uomini perché fingono di non rammentare che anche l’uomo doveva essere lapidato e uno alla volta, cominciando dai più anziani, se ne vanno. Ma neppure questo, anche e se importante, è il tema dell’episodio.

Ciò che conta veramente sono le parole di Gesù alla donna:Neppure io ti condanno, va e non peccare più”.

Nell’Antico Testamento, e Gesù è stato un ebreo vissuto nell’Antico Testamento salvo a ribaltarne le regole, era la donna a dover provare la propria innocenza cosa peraltro difficile perché la testimonianza di una donna non aveva valore.

Questo è un pensiero che ripropongo di tanto in tanto, perché pare proprio che nel 2018 le cose non siano cambiate gran che se una donna vittima di una violenza è ancora costretta a provare la propria innocenza, e spesso le viene risposto che “se l’è cercata”.

CORSI E RICORSI

7 Feb

Secondo l’Eneide, poema epico scritto in latino da Virgilio per celebrare i fasti di  Augusto, Enea fuggiasco da Troia incendiata sbarcò a Castro, nel Salento. Dopo un viaggio nel regno dei morti tornò tra i vivi approdò finalmente sulle rive del Tevere, dove venne accolto da Latino, re degli Aborigeni e, come in tutte le storie con lieto fine, si innamora di sua figlia Lavinia fondando la città di Lavinio (ora Pratica di Mare). Ttito Livio ci informa che trent’anni dopo la morte di Enea Ascanio, suo figlio, fondò la città di Alba Longa. Per farla corta si innamorò di Rea Silvia, una vestale, il dio Marte la salvò dalla morte e la mise incinta di Romolo e Remo, i due gemelli uno dei quali, Romolo, avrebbe fondato Roma.

Roma  ovviamente era una città triste perché popolata per lo più da militari. Per avere una presenza femminile, Romolo si rivolse ai popoli vicini per stringere alleanze ma anche in cerca di ragazze, ricevendo dei secchi rifiuti. D’altra parte era l’ultimo venuto.

Organizzata una festa in onore del dio Conso, ad un segnale convenuto i Romani rapirono le figlie dei Ceninensi, Crustumini, Antemnati e dSabini, in quello che è passato alla storia come il ratto delle sabine.

Un po’ – molta – fantasia, un po’ storia tant’è. Questo è quello che ci hanno insegnato alle elementari.

Una cosa certa è che abbiamo studiato questo senza soffermarci che le sabine, assieme alle altre, furono rapite contro la loro volontà, né si può pretendere che a quell’età qualcuno di noi vi abbia riflettuto.

È quel contro la loro volontà che fa la differenza. Oggi una donna è teoricamente libera di troncare un rapporto senza che nessuno di noi abbia il diritto di giudicarla. Teoricamente come sappiamo perché molte sono oggetto di ritorsioni fino al femminicidio da parte dell’uomo, cosa rara se ad andarsene è l’uomo.

Come molti uomini di oggi non accettano di essere stati lasciati, così i Romani rapirono le sabine senza chiedere loro il permesso.

Corsi e ricorsi, sia pure sotto altre forme, e sarebbe buona cosa se i maestri, con il linguaggio adatto all’età, spiegassero ai bambini che si è trattato di un sopruso.

DINA, UNA DI NOI

4 Feb

 

Le Scritture, si sa, non si soffermano sui fatti di cronaca relativi alla sfera sessuale, sia perché essa era ben codificata, sia perché le ragazze e i ragazzi si sposavano relativamente presto rispetto ad ora.

Certo, è raccontato di come il re Davide, invaghitosi di Betsbabea, la moglie di Uria, mandò questi in battaglia in prima linea per farlo morire e aver campo libero, e della presunzione di innocenza di una giovane se la violenza fosse avvenuta in campagna, perché “forse ha urlato per chiedere aiuto ma nessuno l’ha udita”. C’è un episodio che per il nome della protagonista e per il luogo potremmo benissimo trasportare nella nostra realtà di oggi.

“Dina, la figlia che Lia aveva partorita a Giacobbe, uscì a vedere le ragazze del paese. Ma la vide Sichem, figlio di Camor l`Eveo, principe di quel paese, e la rapì, si unì a lei e le fece violenza”. (Genesi 34:1-2).

Dina una ragazza che andò al pozzo a coglier l’acqua – era un compito da donna – e si fermò a parlare con le amiche, come avviene ora con le nostre giovani in piazza o nei centri commerciali.

La storia prende una brutta piega quando Dina non torna a casa perché Sichem, il figlio del principe di quel paese 1) la vede 2) la rapisce e 3) si unisce a lei facendole violenza.

Chi vuole può leggere il resto in Genesi 34.

Molto attuale perché è ciò che succede quasi ogni giorno nelle nostre città.

Di un’attualità sconcertante che non può lasciare indifferente nessuno, uomo o donna che sia.

CHI DI VOI (SIGNORI UOMINI)

26 Nov

E tornarono ciascuno a casa sua. Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. Ma all’alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava. Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”. Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell’interrogarlo, alzò il capo e disse loro: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi. Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Ed essa rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù le disse: “Neanch’io ti condanno; va e non peccare più”. (Giovanni 7:59 – 8:11)

Questo è uno dei brani più famosi del Nuovo Testamento, per quel “Chi di voi è senza peccato…”, usato come metafora in altri contesti.

Il protagonista non è l’adultera al centro della scena, che gli scribi e i farisei portarono a Gesù chiedendogli cosa fare di lei, perché nella loro domanda domanda era già insita la riposta.

Gesù non presta loro attenzione e solo sulle loro insistente dà la famosa autorizzazione che mette in crisi le coscienze degli uomini perché fingono di non rammentare che anche l’uomo dev’essere lapidato e uno alla volta, cominciando dai più anziani, se ne vanno. Ma neppure questo, anche e se importante, è il tema dell’episodio.

Ciò che conta veramente sono le parole di Gesù alla donna:Neppure io ti condanno, va e non peccare più”.

Nell’Antico Testamento, e Gesù è stato un ebreo vissuto nell’Antico Testamento salvo a ribaltarne le regole, era la donna a dover provare la propria innocenza cosa peraltro difficile perché la testimonianza di una donna non aveva valore.

Pare però che nel 2017 le cose non siano cambiate gran che se una donna vittima di una violenza è ancora costretta a provare la propria innocenza, e spesso le viene risposto che “se l’è cercata”.

LE VIOLENZE

27 Set

Dagli stupri di Rimini ho preferito starmene in disparte, salvo qualche twitt in cui ho fatto notare come il giornalismo ha trattato gli avvenimenti, dall’infelice “fatto di cronaca locale”, a chi ha scritto che queste son cose del Sud con rifermento a Noemi Durini, alla terza carica dello stato che ha chiesto perdono a nome di tutti gli uomini, fino a chi, controcorrente, ha scritto che non si deve far vedere la fotografia di una quindicenne, seppur morta.

Ripetere ossessivamente le stesse notizie, con gli stessi filmati e le stesse fotografie può provocare nelle persone insensibili l’effetto assuefazione e in alcuni quello di emulazione, come è successo con la minaccia a una giornalista del barese.

Quando il ragazzo confessò l’uccisione di Noemi Durini, volevo riproporre un mio articolo sulla privacy sui Social Media, perché subito dopo la confessione un tg aprì con “Questo non è amore”, una riflessione che la ragazza aveva postato su Facebook. Segno che la redazione aveva già predisposto il coccodrillo non di un personaggio famoso ma di una ignota quindicenne di un ignoto paesino fino al giorno prima (qualcuno ha ripercorso la Puglia riproponendo i fatti di Avetrana). Quanto alle fotografie, mentre si discute del diritto all’oblio per quanto riguarda internet la legislazione attuale vieta la pubblicazione delle fotografie dei minori mentre sono in vita, a farlo dopo la loro morte dovrebbe essere il buon gusto.

Esiste il concetto di prossimità, per cui siamo toccati dai fatti di casa nostra. Un lutto in famiglia ci colpisce di più che una morte in Italia e una tragedia in Italia è molto più pregnante di un’alluvione in un Paese asiatico o africano che forse non riusciamo a collocare nella carta geografica. Così, pian piano, si scolorerà l’interesse mediatico verso i delitti della scorsa estate, salvo a riproporli ad effetto. Mi aspetto, infatti, che prima o poi venga ritrovato un fermaglio dei capelli di Simonetta Cesaroni e che alcuni giornali riaprano l’inutile dibattito.

È stata diffusa ieri la notizia della concessione dei domiciliari a Francesco Mezzega, autore del femminicidio di Nadia Orlando di Dignano, in provincia di Udine. Nella solita raccolta giornalistica di pareri della giuria popolare, la prima opinione è la più saggia “I giudici avranno fatto le loro deduzioni”.

Elettronica non è solo l’ultimo smartphone o il tablet di tendenza, ma anche il braccialetto elettronico. Se da una parte denunciamo il sovraffollamento delle carceri dall’altra non possiamo a priori alle pene alternative.

Superato lo shock iniziale, invito a leggere il saggio di Gerardo Colombo Il perdono responsabile, in cui l’ex magistrato analizza l’inutilità della carcerazione.