Archivio | politica RSS feed for this section

COPERTURE FINANZIARIE

18 Gen

A udire a pranzo, merenda e cena le promesse elettorali dei vari schieramenti politici, promesse a sostegno delle quai non viene mai citata la copertura finanziaria, non so a voi ma a me torna in mente il raggiro del Gatto e della Volpe al capitolo dodici di Pinocchio.

E, se debbo dirla tutta, mi hanno anche stufato. Poi magari sbaglio.

Il giorno dipoi Mangiafoco chiamò in disparte Pinocchio e gli domandò:

Come si chiama tuo padre?

Geppetto.

E che mestiere fa?

Il povero.

Guadagna molto?

Guadagna tanto, quanto ci vuole per non aver mai un centesimo in tasca. Si figuri che per comprarmi l’Abbecedario della scuola dové vendere l’unica casacca che aveva addosso: una casacca che, fra toppe e rimendi, era tutta una piaga.

Povero diavolo! Mi fa quasi compassione. Ecco qui cinque monete d’oro. Vai subito a portargliele e salutalo tanto da parte mia.

Pinocchio, com’è facile immaginarselo, ringraziò mille volte il burattinaio, abbracciò, a uno a uno, tutti i burattini della Compagnia, anche i gendarmi: e fuori di sé dalla contentezza, si mise in viaggio per tornarsene a casa sua.

Ma non aveva fatto ancora mezzo chilometro, che incontrò per la strada una Volpe zoppa da un piede e un Gatto cieco da tutt’e due gli occhi, che se ne andavano là là, aiutandosi fra di loro, da buoni compagni di sventura. La Volpe che era zoppa, camminava appoggiandosi al Gatto: e il Gatto, che era cieco, si lasciava guidare dalla Volpe.

Buon giorno, Pinocchio, – gli disse la Volpe, salutandolo garbatamente.

Com’è che sai il mio nome? – domandò il burattino.

Conosco bene il tuo babbo.

Dove l’hai veduto?

L’ho veduto ieri sulla porta di casa sua.

E che cosa faceva?

Era in maniche di camicia e tremava dal freddo.

Povero babbo! Ma, se Dio vuole, da oggi in poi non tremerà più!…

Perché?

Perché io sono diventato un gran signore.

Un gran signore tu? – disse la Volpe, e cominciò a ridere di un riso sguaiato e canzonatore: e il Gatto rideva anche lui, ma per non darlo a vedere, si pettinava i baffi colle zampe davanti.

C’è poco da ridere, – gridò Pinocchio impermalito. – Mi dispiace davvero di farvi venire l’acquolina in bocca, ma queste qui, se ve ne intendete, sono cinque bellissime monete d’oro.

E tirò fuori le monete avute in regalo da Mangiafoco.

Al simpatico suono di quelle monete la Volpe, per un moto involontario, allungò la gamba che pareva rattrappita, e il Gatto spalancò tutt’e due gli occhi, che parvero due lanterne verdi: ma poi li richiuse subito, tant’è vero che Pinocchio non si accorse di nulla.

E ora, – gli domandò la Volpe, – che cosa vuoi farne di codeste monete?

Prima di tutto, – rispose il burattino, – voglio comprare per il mio babbo una bella casacca nuova, tutta d’oro e d’argento e coi bottoni di brillanti: e poi voglio comprare un Abbecedario per me.

Per te?

Davvero: perché voglio andare a scuola e mettermi a studiare a buono.

Guarda me! – disse la Volpe. – Per la passione sciocca di studiare ho perduto una gamba.

Guarda me! – disse il Gatto. – Per la passione sciocca di studiare ho perduto la vista di tutti e due gli occhi.

In quel mentre un Merlo bianco, che se ne stava appollaiato sulla siepe della strada, fece il solito verso e disse:

Pinocchio, non dar retta ai consigli dei cattivi compagni: se no, te ne pentirai!

Povero Merlo, non l’avesse mai detto! Il Gatto, spiccando un gran salto, gli si avventò addosso, e senza dargli nemmeno il tempo di dire ohi se lo mangiò in un boccone, con le penne e tutto.

Mangiato che l’ebbe e ripulitasi la bocca, chiuse gli occhi daccapo e ricominciò a fare il cieco, come prima.

Povero Merlo! – disse Pinocchio al Gatto – perché l’hai trattato così male?

Ho fatto per dargli una lezione. Così un’altra volta imparerà a non metter bocca nei discorsi degli altri.

Erano giunti più che a mezza strada, quando la Volpe, fermandosi di punto in bianco, disse al burattino:

Vuoi raddoppiare le tue monete d’oro?

Cioè?

Vuoi tu, di cinque miserabili zecchini, farne cento, mille, duemila?

Magari! E la maniera?

La maniera è facilissima. Invece di tornartene a casa tua, dovresti venire con noi.

E dove mi volete condurre?

Nel paese dei Barbagianni.

Pinocchio ci pensò un poco, e poi disse risolutamente:

No, non ci voglio venire. Oramai sono vicino a casa, e voglio andarmene a casa, dove c’è il mio babbo che m’aspetta. Chi lo sa, povero vecchio, quanto ha sospirato ieri, a non vedermi tornare. Pur troppo io sono stato un figliolo cattivo, e il Grillo-parlante aveva ragione quando diceva: “I ragazzi disobbedienti non possono aver bene in questo mondo”. E io l’ho provato a mie spese, Perché mi sono capitate di molte disgrazie, e anche ieri sera in casa di Mangiafoco, ho corso pericolo… Brrr! mi viene i bordoni soltanto a pensarci!

Dunque, – disse la Volpe, – vuoi proprio andare a casa tua? Allora vai pure, e tanto peggio per te!

Tanto peggio per te! – ripeté il Gatto.

Pensaci bene, Pinocchio, perché tu dai un calcio alla fortuna.

Alla fortuna! – ripeté il Gatto.

I tuoi cinque zecchini, dall’oggi al domani sarebbero diventati duemila.

Duemila! – ripeté il Gatto.

Ma com’è mai possibile che diventino tanti? – domandò Pinocchio, restando a bocca aperta dallo stupore.

Te lo spiego subito, – disse la Volpe. – Bisogna sapere che nel paese dei Barbagianni c’è un campo benedetto, chiamato da tutti il Campo dei miracoli. Tu fai in questo campo una piccola buca e ci metti dentro per esempio uno zecchino d’oro. Poi ricuopri la buca con un po’ di terra: l’annaffi con due secchie d’acqua di fontana, ci getti sopra una presa di sale, e la sera te ne vai tranquillamente a letto. Intanto, durante la notte, lo zecchino germoglia e fiorisce, e la mattina dopo, di levata, ritornando nel campo, che cosa trovi? Trovi un bell’albero carico di tanti zecchini d’oro, quanti chicchi di grano può avere una bella spiga nel mese di giugno.

Sicché dunque, – disse Pinocchio sempre più sbalordito, – se io sotterrassi in quel campo i miei cinque zecchini, la mattina dopo quanti zecchini ci troverei?

È un conto facilissimo, – rispose la Volpe, – un conto che puoi farlo sulla punta delle dita. Poni che ogni zecchino ti faccia un grappolo di cinquecento zecchini: moltiplica il cinquecento per cinque e la mattina dopo ti trovi in tasca duemila cinquecento zecchini lampanti e sonanti.

Oh che bella cosa! – gridò Pinocchio, ballando dall’allegrezza. – Appena che questi zecchini gli avrò raccolti, ne prenderò per me duemila e gli altri cinquecento di più li darò in regalo a voi altri due.

Un regalo a noi? – gridò la Volpe sdegnandosi e chiamandosi offesa. – Dio te ne liberi!

Te ne liberi! – ripeté il Gatto.

Noi, – riprese la Volpe, – non lavoriamo per il vile interesse: noi lavoriamo unicamente per arricchire gli altri.

Gli altri! – ripeté il Gatto.

Che brave persone! – pensò dentro di sé Pinocchio: e dimenticandosi lì sul tamburo, del suo babbo, della casacca nuova, dell’Abbecedario e di tutti i buoni proponimenti fatti, disse alla Volpe e al Gatto:

Andiamo pure. Io vengo con voi”.

(Carlo Collodi, Le Avventure di Pinocchio – Storia di un burattino, Firenze, 1982).

AMOS

9 Feb

Ecco ciò che mi fece vedere il Signore Dio: il Signore stava sopra un muro tirato a piombo e con un filo a piombo in mano. Il Signore mi disse: “Che cosa vedi, Amos?”. Io risposi: “Un filo a piombo”. Il Signore mi disse: “Io pongo un filo a piombo in mezzo al mio popolo, Israele; non gli perdonerò più. Saranno demolite le alture d’Isacco e saranno ridotti in rovina i santuari d’Israele, quando io mi leverò con la spada contro la casa di Geroboamo”.
Amasia, sacerdote di Betel, mandò a dire a Geroboamo, re d’Israele: “Amos congiura contro di te, in mezzo alla casa d’Israele; il paese non può sopportare le sue parole, poiché così dice Amos: “Di spada morirà Geroboamo, e Israele sarà condotto in esilio lontano dalla sua terra””. Amasia disse ad Amos: “Vattene, veggente, ritrati nella terra di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno”. Amos rispose ad Amasia e disse:
“Non ero profeta né figlio di profeta; ero un mandriano e coltivavo piante di sicomòro.Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge.Il Signore mi disse: Va, profetizza al mio popolo Israele”.
Come rammenta anche Qohelet 3 “un tempo per tacere e un tempo per parlare” arriva il momento in cui bisogna alzare la voce e denunciare i malaffari, con garbo, legalmente, ma con decisione, anche se ci sarà chi vorrà mettere a tacere la verità volgendosi

REDDITO DI CITTADINANZA E QUOTA CENTO

17 Gen

A udire a pranzo, merenda e cena i proclami sul reddito di cittadinanza e sulla “quota cento” a sostegno dei quali non viene mai citata la copertura finanziaria, non so a voi ma a me torna in mente il raggiro del Gatto e della Volpe al capitolo dodici di Pinocchio.

E, se debbo dirla tutta, mi hanno anche stufato. Poi magari sbaglio.

“Il giorno dipoi Mangiafoco chiamò in disparte Pinocchio e gli domandò:

– Come si chiama tuo padre?

– Geppetto.

– E che mestiere fa?

– Il povero.

– Guadagna molto?

– Guadagna tanto, quanto ci vuole per non aver mai un centesimo in tasca. Si figuri che per comprarmi l’Abbecedario della scuola dové vendere l’unica casacca che aveva addosso: una casacca che, fra toppe e rimendi, era tutta una piaga.

– Povero diavolo! Mi fa quasi compassione. Ecco qui cinque monete d’oro. Vai subito a portargliele e salutalo tanto da parte mia.

Pinocchio, com’è facile immaginarselo, ringraziò mille volte il burattinaio, abbracciò, a uno a uno, tutti i burattini della Compagnia, anche i giandarmi: e fuori di sé dalla contentezza, si mise in viaggio per tornarsene a casa sua.

Ma non aveva fatto ancora mezzo chilometro, che incontrò per la strada una Volpe zoppa da un piede e un Gatto cieco da tutt’e due gli occhi, che se ne andavano là là, aiutandosi fra di loro, da buoni compagni di sventura. La Volpe che era zoppa, camminava appoggiandosi al Gatto: e il Gatto, che era cieco, si lasciava guidare dalla Volpe.

– Buon giorno, Pinocchio, – gli disse la Volpe, salutandolo garbatamente.

– Com’è che sai il mio nome? – domandò il burattino.

– Conosco bene il tuo babbo.

– Dove l’hai veduto?

– L’ho veduto ieri sulla porta di casa sua.

– E che cosa faceva?

– Era in maniche di camicia e tremava dal freddo.

– Povero babbo! Ma, se Dio vuole, da oggi in poi non tremerà più!…

– Perché?

– Perché io sono diventato un gran signore.

– Un gran signore tu? – disse la Volpe, e cominciò a ridere di un riso sguaiato e canzonatore: e il Gatto rideva anche lui, ma per non darlo a vedere, si pettinava i baffi colle zampe davanti.

– C’è poco da ridere, – gridò Pinocchio impermalito. – Mi dispiace davvero di farvi venire l’acquolina in bocca, ma queste qui, se ve ne intendete, sono cinque bellissime monete d’oro.

E tirò fuori le monete avute in regalo da Mangiafoco.

Al simpatico suono di quelle monete la Volpe, per un moto involontario, allungò la gamba che pareva rattrappita, e il Gatto spalancò tutt’e due gli occhi, che parvero due lanterne verdi: ma poi li richiuse subito, tant’è vero che Pinocchio non si accorse di nulla.

– E ora, – gli domandò la Volpe, – che cosa vuoi farne di codeste monete?

– Prima di tutto, – rispose il burattino, – voglio comprare per il mio babbo una bella casacca nuova, tutta d’oro e d’argento e coi bottoni di brillanti: e poi voglio comprare un Abbecedario per me.

– Per te?

– Davvero: perché voglio andare a scuola e mettermi a studiare a buono.

– Guarda me! – disse la Volpe. – Per la passione sciocca di studiare ho perduto una gamba.

– Guarda me! – disse il Gatto. – Per la passione sciocca di studiare ho perduto la vista di tutti e due gli occhi.

In quel mentre un Merlo bianco, che se ne stava appollaiato sulla siepe della strada, fece il solito verso e disse:

– Pinocchio, non dar retta ai consigli dei cattivi compagni: se no, te ne pentirai!

Povero Merlo, non l’avesse mai detto! Il Gatto, spiccando un gran salto, gli si avventò addosso, e senza dargli nemmeno il tempo di dire ohi se lo mangiò in un boccone, con le penne e tutto.

Mangiato che l’ebbe e ripulitasi la bocca, chiuse gli occhi daccapo e ricominciò a fare il cieco, come prima.

– Povero Merlo! – disse Pinocchio al Gatto, – perché l’hai trattato così male?

– Ho fatto per dargli una lezione. Così un’altra volta imparerà a non metter bocca nei discorsi degli altri.

Erano giunti più che a mezza strada, quando la Volpe, fermandosi di punto in bianco, disse al burattino:

– Vuoi raddoppiare le tue monete d’oro?

– Cioè?

– Vuoi tu, di cinque miserabili zecchini, farne cento, mille, duemila?

– Magari! E la maniera?

– La maniera è facilissima. Invece di tornartene a casa tua, dovresti venire con noi.

– E dove mi volete condurre?

– Nel paese dei Barbagianni.

Pinocchio ci pensò un poco, e poi disse risolutamente:

– No, non ci voglio venire. Oramai sono vicino a casa, e voglio andarmene a casa, dove c’è il mio babbo che m’aspetta. Chi lo sa, povero vecchio, quanto ha sospirato ieri, a non vedermi tornare. Pur troppo io sono stato un figliolo cattivo, e il Grillo-parlante aveva ragione quando diceva: “I ragazzi disobbedienti non possono aver bene in questo mondo”. E io l’ho provato a mie spese, Perché mi sono capitate dimolte disgrazie, e anche ieri sera in casa di Mangiafoco, ho corso pericolo… Brrr! mi viene i bordoni soltanto a pensarci!

– Dunque, – disse la Volpe, – vuoi proprio andare a casa tua? Allora vai pure, e tanto peggio per te!

– Tanto peggio per te! – ripeté il Gatto.

– Pensaci bene, Pinocchio, perché tu dai un calcio alla fortuna.

– Alla fortuna! – ripeté il Gatto.

– I tuoi cinque zecchini, dall’oggi al domani sarebbero diventati duemila.

– Duemila! – ripeté il Gatto.

– Ma com’è mai possibile che diventino tanti? – domandò Pinocchio, restando a bocca aperta dallo stupore.

– Te lo spiego subito, – disse la Volpe. – Bisogna sapere che nel paese dei Barbagianni c’è un campo benedetto, chiamato da tutti il Campo dei miracoli. Tu fai in questo campo una piccola buca e ci metti dentro per esempio uno zecchino d’oro. Poi ricuopri la buca con un po’ di terra: l’annaffi con due secchie d’acqua di fontana, ci getti sopra una presa di sale, e la sera te ne vai tranquillamente a letto. Intanto, durante la notte, lo zecchino germoglia e fiorisce, e la mattina dopo, di levata, ritornando nel campo, che cosa trovi? Trovi un bell’albero carico di tanti zecchini d’oro, quanti chicchi di grano può avere una bella spiga nel mese di giugno.

– Sicché dunque, – disse Pinocchio sempre più sbalordito, – se io sotterrassi in quel campo i miei cinque zecchini, la mattina dopo quanti zecchini ci troverei?

– È un conto facilissimo, – rispose la Volpe, – un conto che puoi farlo sulla punta delle dita. Poni che ogni zecchino ti faccia un grappolo di cinquecento zecchini: moltiplica il cinquecento per cinque e la mattina dopo ti trovi in tasca duemila cinquecento zecchini lampanti e sonanti.

– Oh che bella cosa! – gridò Pinocchio, ballando dall’allegrezza. – Appena che questi zecchini gli avrò raccolti, ne prenderò per me duemila e gli altri cinquecento di più li darò in regalo a voi altri due.

– Un regalo a noi? – gridò la Volpe sdegnandosi e chiamandosi offesa. – Dio te ne liberi!

– Te ne liberi! – ripeté il Gatto.

– Noi, – riprese la Volpe, – non lavoriamo per il vile interesse: noi lavoriamo unicamente per arricchire gli altri.

– Gli altri! – ripeté il Gatto.

– Che brave persone! – pensò dentro di sé Pinocchio: e dimenticandosi lì sul tamburo, del suo babbo, della casacca nuova, dell’Abbecedario e di tutti i buoni proponimenti fatti, disse alla Volpe e al Gatto:

– Andiamo pure. Io vengo con voi”.

LA MINESTRA RISCALDATA

14 Gen

La minestra riscaldata indica quella storia amorosa dalla quale è meglio stare alla larga dopo averci già provato senza successo.

Ultimamente ha assunto anche un significato politico riguardo a quei provvedimenti copiati “paro paro” o poco meno dalle proposte della famosa “amministrazione precedente”.

Ma, lasciando da parte le pene d’amore e le beghe politiche, vogliamo passare al mondo masterchef e riabilitare il detto specificando che una minestra di fagioli, una jota triestina sono sicuramente più appetibili il giorno dopo che non appena cucinate, come del resto lo anche, alla bisogna, un piatto di “pasta scarfata”?

C’È DEL MARCIO?

23 Nov

etichette

Si parlava di Shakespeare e tra una cosa e l’altra si è fatta la considerazione di come, nell’immaginario collettivo, sia rimasta viva l’espressione “C’è del marcio in Danimarca” dell’Amleto (anche se i più non conoscono la trama della tragedia), mentre proprio in questi giorni con la storia dei termo-valorizzatori, si è saputo che a Copenaghen ce n’è uno con tanto di pista da sci in plastica sul tetto, tanto per non sprecare spazio.

inceneritore_copenaghen_web_2018

Regola di vita da imparare e da applicare: “Mai appiccicare un’etichetta a qualcuno, perché non lo si conosce a fondo, le cose possono non essere come le percepiamo e comunque possono cambiare”, com’è cambiata la Danimarca dai tempi di Amleto ad oggi.

Poi qualcuno ha prudentemente pensato di cambiare discorso, per non addentrarci in temi nostrani, ma questa è un’altra storia.

L’ITALIA È UNA REPUBBLICA TEOCRATICA FONDATA SUL LAVORO?

24 Set

A pochi giorni dal 20 settembre, anniversario della Breccia di Porta Pia, che aveva posto fine al dominio del Vaticano sull’Italia, in sprezzo all’articolo 8 della Costituzione che separa i poteri dello Stato da quelli della Chiesa cattolica, quello che Gesù di Nazareth in altre parole aveva detto “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” abbiamo assistito a una visita di stato, in quanto pubblicizzata sul sito ufficiale del Governo, nei luoghi cari al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte a San Giovanni Rotondo nel cinquantesimo anniversario della morte di “Padre” Pio. Nulla vieta che il dottor Conte sia un devoto a quell’uomo, figura peraltro discussa, ma è un’offesa ai cittadini italiani che lo abbia fatto in veste istituzionale e che in tal modo voglia imporre la sua fede a tutti gli italiani, con l’appoggio esplicito di Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia, che dice che i politici devono prendere esempio.

I sociologi stimano che in Italia, per per gli scandali dello IOR ma soprattutto della pedofilia, i cattolici sono in costante calo. Una chiesa che veramente volesse agire in trasparenza non darebbe i numeri gonfiati da quanti sono stati battezzati da bambini ma di quanti ne fanno realmente parte. Un parametro, ma non l’unico, è quello di quanti versano alla Cei l’otto per mille.

Gli aspetti pratici di questa presa di posizione governativa sono sotto gli occhi di chiunque voglia guardare: tra gli altri, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole italiane e non della storia delle religioni utile soprattutto in questo momento di forti mutamenti sociale, i continui boicottaggi all’interruzione volontaria della gravidanza e a una corretta educazione di genere a prevenzione tra i giovani dei crescenti fenomeni di violenza sulle donne, temi delicati che la Chiesa cattolica fa entrare nei suoi “principi non negoziabili”, e l’elenco potrebbe continuare. Suoi, ma non di uno stato laico. Le spese di ogni spostamento del capo della Santa Sede, stato estero come la Repubblica di San Marino, di cui il contribuente non ha evidenza, in forza di un concordato ormai vecchio come le carrozze a cavalli e che andrebbe abolito. Il monopolio delle reti Rai1 e Radio Ra1 dal sabato pomeriggio alla domenica mattina, con trasmissioni come “A sua immagine” e la messa, che i cattolici possono seguire sulla rete della Cei TV2000, mentre assistiamo al confinamento del Culto evangelico su Radio Rai1 alle 06:35 e della Rubrica Protestantesimo intorno all’una di notte. Qualcosa è trasmesso dell’ebraismo, praticamente nulla del buddismo e della religione mussulmana.

Tutto ciò a discapito della libertà di informazione, ma soprattutto in sprezzo al pluralismo religioso.

Stiamo pian piano sempre più scivolando verso una repubblica teocratica, basata non sugli insegnamenti evangelici, ma sull’interpretazione che la Chiesa cattolica ne fa?

ATTUALITÀ DEL PASSATO

5 Set

(Perché il passato, la storia, serve a insegnarci a non cadere negli stessi errori, ma molti paiono non averlo capito).

[…]Non un impiego conferito senza raccomandazione di deputati, non una promozione, quasi, accordata senza vista dell’interesse politico (…); non un contratto stipulato dal governo, senza che chi lo stipula sia stato presentato da un deputato”.

Parole d’oggi? No, scritte da Ruggiero Bonghi nel 1886. Ne verremo mai fuori?

DEL RISPETTO E DEL DISSENSO VERSO L’AUTORITÀ COSTITUITA

30 Ago

Quello seguente, considerando anche ciò che sta succedendo in Italia, è uno dei passi più difficili del Nuovo Testamento

Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite. Infatti non c’è autorità se non da Dio: quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono attireranno su di sé la condanna. I governanti infatti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver paura dell’autorità? Fa’ il bene e ne avrai lode, poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora devi temere, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi fa il male. Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza. Per questo infatti voi pagate anche le tasse: quelli che svolgono questo compito sono a servizio di Dio. Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi si devono le tasse, date le tasse; a chi l’imposta, l’imposta; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispetto”. (Romani 13:1-7).

Va tenuto presente che Paolo le scrive nel primo secolo, nel quale concetti come la democrazia come la intendiamo ora erano tutti da inventare e certo l’Impero romano non andava per il sottile. Il suo motto era “divide et impera” anche se, in tempo di pace, bastava che i popoli soggetti riconoscessero la sua autorità e pagassero le tasse.

Lo stesso Gesù, nella famosa frase che segna la divisione tra ciò che riguarda la fede e il potere temporale “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”, dice che le tasse debbono essere pagate e, durante uno degli interrogatori che precedettero la sua condanna a morte disse a Pilato che la sua autorità veniva dall’alto.

Senza autorità, senza regole, si scaderebbe velocemente nell’anarchia con tutte le conseguenze che possiamo immaginare e in parte vedere in alcuni Paesi africani nei quali le diverse tribù, i diversi gruppi di persone, sono antagonisti tra di loro.

La Scrittura non è un testo monolitico ma soprattutto non è un manuale o un codice da cui estrapolare questa o quella “verità” a seconda del momento.

A me piace far notare come, nell’elenco delle antitesi “C’è un tempo per…” di Qohelet 3, tutte le azioni sono espresse prima al positivo poi al negativo, salvo il “c’è un tempo per tacere e un tempo per parlare”.

Ecco, questo è il tempo “per parlare”, per far sentire la nostra voce di dissenso, anche con toni forti, purché nel rispetto della legalità.

COPERTURE FINANZIARIE

14 Gen

A udire a pranzo, merenda e cena le promesse elettorali dei vari schieramenti politici, promesse a sostegno delle quai non viene mai citata la copertura finanziaria, non so a voi ma a me torna in mente il raggiro del Gatto e della Volpe al capitolo dodici di Pinocchio.

E, se debbo dirla tutta, mi hanno anche stufato. Poi magari sbaglio.

Il giorno dipoi Mangiafoco chiamò in disparte Pinocchio e gli domandò:

– Come si chiama tuo padre?

– Geppetto.

– E che mestiere fa?

– Il povero.

– Guadagna molto?

– Guadagna tanto, quanto ci vuole per non aver mai un centesimo in tasca. Si figuri che per comprarmi l’Abbecedario della scuola dové vendere l’unica casacca che aveva addosso: una casacca che, fra toppe e rimendi, era tutta una piaga.

– Povero diavolo! Mi fa quasi compassione. Ecco qui cinque monete d’oro. Vai subito a portargliele e salutalo tanto da parte mia.

Pinocchio, com’è facile immaginarselo, ringraziò mille volte il burattinaio, abbracciò, a uno a uno, tutti i burattini della Compagnia, anche i giandarmi: e fuori di sé dalla contentezza, si mise in viaggio per tornarsene a casa sua.

Ma non aveva fatto ancora mezzo chilometro, che incontrò per la strada una Volpe zoppa da un piede e un Gatto cieco da tutt’e due gli occhi, che se ne andavano là là, aiutandosi fra di loro, da buoni compagni di sventura. La Volpe che era zoppa, camminava appoggiandosi al Gatto: e il Gatto, che era cieco, si lasciava guidare dalla Volpe.

– Buon giorno, Pinocchio, – gli disse la Volpe, salutandolo garbatamente.

– Com’è che sai il mio nome? – domandò il burattino.

– Conosco bene il tuo babbo.

– Dove l’hai veduto?

– L’ho veduto ieri sulla porta di casa sua.

– E che cosa faceva?

– Era in maniche di camicia e tremava dal freddo.

– Povero babbo! Ma, se Dio vuole, da oggi in poi non tremerà più!…

– Perché?

– Perché io sono diventato un gran signore.

– Un gran signore tu? – disse la Volpe, e cominciò a ridere di un riso sguaiato e canzonatore: e il Gatto rideva anche lui, ma per non darlo a vedere, si pettinava i baffi colle zampe davanti.

– C’è poco da ridere, – gridò Pinocchio impermalito. – Mi dispiace davvero di farvi venire l’acquolina in bocca, ma queste qui, se ve ne intendete, sono cinque bellissime monete d’oro.

E tirò fuori le monete avute in regalo da Mangiafoco.

Al simpatico suono di quelle monete la Volpe, per un moto involontario, allungò la gamba che pareva rattrappita, e il Gatto spalancò tutt’e due gli occhi, che parvero due lanterne verdi: ma poi li richiuse subito, tant’è vero che Pinocchio non si accorse di nulla.

– E ora, – gli domandò la Volpe, – che cosa vuoi farne di codeste monete?

– Prima di tutto, – rispose il burattino, – voglio comprare per il mio babbo una bella casacca nuova, tutta d’oro e d’argento e coi bottoni di brillanti: e poi voglio comprare un Abbecedario per me.

– Per te?

– Davvero: perché voglio andare a scuola e mettermi a studiare a buono.

– Guarda me! – disse la Volpe. – Per la passione sciocca di studiare ho perduto una gamba.

– Guarda me! – disse il Gatto. – Per la passione sciocca di studiare ho perduto la vista di tutti e due gli occhi.

In quel mentre un Merlo bianco, che se ne stava appollaiato sulla siepe della strada, fece il solito verso e disse:

– Pinocchio, non dar retta ai consigli dei cattivi compagni: se no, te ne pentirai!

Povero Merlo, non l’avesse mai detto! Il Gatto, spiccando un gran salto, gli si avventò addosso, e senza dargli nemmeno il tempo di dire ohi se lo mangiò in un boccone, con le penne e tutto.

Mangiato che l’ebbe e ripulitasi la bocca, chiuse gli occhi daccapo e ricominciò a fare il cieco, come prima.

– Povero Merlo! – disse Pinocchio al Gatto, – perché l’hai trattato così male?

– Ho fatto per dargli una lezione. Così un’altra volta imparerà a non metter bocca nei discorsi degli altri.

Erano giunti più che a mezza strada, quando la Volpe, fermandosi di punto in bianco, disse al burattino:

– Vuoi raddoppiare le tue monete d’oro?

– Cioè?

– Vuoi tu, di cinque miserabili zecchini, farne cento, mille, duemila?

– Magari! E la maniera?

– La maniera è facilissima. Invece di tornartene a casa tua, dovresti venire con noi.

– E dove mi volete condurre?

– Nel paese dei Barbagianni.

Pinocchio ci pensò un poco, e poi disse risolutamente:

– No, non ci voglio venire. Oramai sono vicino a casa, e voglio andarmene a casa, dove c’è il mio babbo che m’aspetta. Chi lo sa, povero vecchio, quanto ha sospirato ieri, a non vedermi tornare. Pur troppo io sono stato un figliolo cattivo, e il Grillo-parlante aveva ragione quando diceva: “I ragazzi disobbedienti non possono aver bene in questo mondo”. E io l’ho provato a mie spese, Perché mi sono capitate dimolte disgrazie, e anche ieri sera in casa di Mangiafoco, ho corso pericolo… Brrr! mi viene i bordoni soltanto a pensarci!

– Dunque, – disse la Volpe, – vuoi proprio andare a casa tua? Allora vai pure, e tanto peggio per te!

– Tanto peggio per te! – ripeté il Gatto.

– Pensaci bene, Pinocchio, perché tu dai un calcio alla fortuna.

– Alla fortuna! – ripeté il Gatto.

– I tuoi cinque zecchini, dall’oggi al domani sarebbero diventati duemila.

– Duemila! – ripeté il Gatto.

– Ma com’è mai possibile che diventino tanti? – domandò Pinocchio, restando a bocca aperta dallo stupore.

– Te lo spiego subito, – disse la Volpe. – Bisogna sapere che nel paese dei Barbagianni c’è un campo benedetto, chiamato da tutti il Campo dei miracoli. Tu fai in questo campo una piccola buca e ci metti dentro per esempio uno zecchino d’oro. Poi ricuopri la buca con un po’ di terra: l’annaffi con due secchie d’acqua di fontana, ci getti sopra una presa di sale, e la sera te ne vai tranquillamente a letto. Intanto, durante la notte, lo zecchino germoglia e fiorisce, e la mattina dopo, di levata, ritornando nel campo, che cosa trovi? Trovi un bell’albero carico di tanti zecchini d’oro, quanti chicchi di grano può avere una bella spiga nel mese di giugno.

– Sicché dunque, – disse Pinocchio sempre più sbalordito, – se io sotterrassi in quel campo i miei cinque zecchini, la mattina dopo quanti zecchini ci troverei?

– È un conto facilissimo, – rispose la Volpe, – un conto che puoi farlo sulla punta delle dita. Poni che ogni zecchino ti faccia un grappolo di cinquecento zecchini: moltiplica il cinquecento per cinque e la mattina dopo ti trovi in tasca duemila cinquecento zecchini lampanti e sonanti.

– Oh che bella cosa! – gridò Pinocchio, ballando dall’allegrezza. – Appena che questi zecchini gli avrò raccolti, ne prenderò per me duemila e gli altri cinquecento di più li darò in regalo a voi altri due.

– Un regalo a noi? – gridò la Volpe sdegnandosi e chiamandosi offesa. – Dio te ne liberi!

– Te ne liberi! – ripeté il Gatto.

– Noi, – riprese la Volpe, – non lavoriamo per il vile interesse: noi lavoriamo unicamente per arricchire gli altri.

– Gli altri! – ripeté il Gatto.

– Che brave persone! – pensò dentro di sé Pinocchio: e dimenticandosi lì sul tamburo, del suo babbo, della casacca nuova, dell’Abbecedario e di tutti i buoni proponimenti fatti, disse alla Volpe e al Gatto:

– Andiamo pure. Io vengo con voi”.

I BUONI CONSIGLI

30 Lug

Si sa che la gente dà buoni consigli

sentendosi come Gesù nel Tempio

si sa che la gente dà buoni consigli

se non può dare cattivo esempio.

Così una vecchia mai stata moglie

senza mai figli, senza più voglie

si prese la briga e di certo il gusto

di dare a tutte il consiglio giusto”.

Questa è l’invettiva di Fabrizio De André, credente a modo suo, contro i consigli non richiesti in Boccadirosa. Sul fatto che questa  sia stata una prostituta vedremo più in là.

In questo mondo di libere opinioni sono sorti opinionisti di ogni sorta, sia tra gli influencer nei Social Media sia nelle televisioni e nella carta stampata, amplificando il vecchio concetto di “l’han detto in tivù”. Di fronte a un un twitt, un post ma anche un articolo dovrebbe esserci una persona che analizzi la notizia, ma che spesso la subisce acriticamente.

Molti opinionisti sono diventati, o almeno ne sono convinti, dei tuttologhi, che spaziano dai vari masterchef alla mafia alle questioni biotetiche senza averne alcuna competenza. Un po’ come quando domandano il parere su un tema di attualità ad un attore solo perché casualmente ha interpretato un ruolo in un film sull’argomento.

Quindi, come le cagnette cui Boccadirosa aveva sottratto l’osso molti, troppi, ma fortunatamente non tutti si sentono in dovere ma anche in diritto di intervenire, esprimere un’opinione ma anche dare consigli su un argomento di cui se va bene hanno letto qualcosa.

Un consiglio va dato solo su richiesta, altrimenti è un’intrusione nella vita di un’altra persona, mancandole di quel rispetto che è alla base delle relazioni con l’altra o l’altro.

Quanto a Boccadirosa e il suo mestiere, sia l’Antico sia il Nuovo Testamento condannano la prostituzione, ma la donna che gli uomini volevano lapidare fu congedata da Gesù con un amorevole “Neanch’io ti condanno, va e non peccare più” (Giovanni 8), e ai sacerdoti e agli anziani del popolo che lo interrogavano per provocarlo risposeIn verità vi dico: “I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. E` venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli”” (Matteo 21:31-32).

Monito per coloro che hanno sempre una pietra o un giudizio pronti in tasca, invece di contare fino a dieci e se è il caso tacere.