Saul /saùl/ di Tarso, che dalla sua conversione in segno di rottura con il passato usò il suo nome latino Paolo. Come lui stesso si definisce in Filippesi 3:5, “circonciso l’ottavo giorno, della stirpe d’Israele, della tribù di Beniamino, ebreo da ebrei, quanto alla legge fariseo”, cioè osservante oltre misura – oggi diremmo integralista. Come sappiamo ebbe una chiamata particolare sulla strada verso Damasco. Per questo motivo molti diffidarono di lui e cercarono di ucciderlo o almeno di screditarlo. Dovette spesso, per questa ragione, dare spiegazione della sua chiamata e del suo lavoro.
Persona particolare e coerente. Tessitore di tende lasciò per un periodo la predicazione tornando al suo mestiere per non pesare sulle comunità. Celibe in un mondo, quello ebraico, nel quale la regola era il matrimonio ad un certo punto, pur non avendone l’intenzione, rivendicò il diritto di avere una moglie (non una “perpetua” come qualcuno vuol far intendere) come Pietro e gli altri apostoli. Da molt* giudicato misogino, non turbò lo status quo della società del suo tempo perché non è questo il fine diretto del cristianesimo rimandando addirittura lo schiavo fuggitivo Onesimo al suo proprietario Filemone (pur chiedendo, ma non imponendo, a questi di dargli la libertà), affermò già nel primo secolo d. C. quel principio della parità di genere alla quale la società contemporanea non è ancora arrivata, quando scrisse che quanto alla salvezza “non c’è più né uomo né donna”.
Ci insegnò anche che l’ira è una componente umana, e che sta in noi saperla dominare e che non è necessario essere sempre e comunque d’accordo con tutti. Iniziò la sua predicazione con Barnaba dal quale poi si divise per divergenze di opinione non sulla fede ma sul metodo. Questo è un bell’esempio di unità nella diversità o, meglio, di diversità nell’unità che dobbiamo sempre tener presente. Le chiese del primo secolo infatti non erano fotocopie di quella di Gerusalemme. Ognuna aveva la sua peculiarità e il cosiddetto “Concilio di Gerusalemme” di Atti 16 ce lo spiega nei dettagli. La stessa chiesa di Gerusalemme si trovò in quella che in termini moderni chiameremmo crisi finanziaria perché, pensando che il Signore tornasse subito, i suoi membri avevano messo in comune i propri beni e smesso di lavorare, con le conseguenze disastrose che sappiamo.
Con tutto questo curriculum per giustificare il suo lavoro, rimase però uguale agli altri e scrisse dispiaciuto ai Corinzi, che avevano già cominciato a fare delle preferenze, delle correnti, in linguaggio moderno, “Io son di Paolo, io di Apollo, io di Cefa (Pietro) e io di Cristo” (1a Corinzi 1:11) che la salvezza non si basa su simpatie, definendo il concetto con parole chiare, “Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma chi fa crescere è Dio” (1a Corinzi 3:6).
Dobbiamo far nostra questa affermazione “Giorgia ha piantato, Mario ha irrigato (nomi di fantasia, mettete quelli che vi suonano meglio) ma chi fa crescere è Dio”.
Nelle storie dei profeti dell’Antico Testamento troviamo le persone più diverse, eppure tutte chiamate da Dio. Mosè, che tirò in ballo anche la sua probabile balbuzie per “”chiamarsi fuori” e insistette, pur sapendo di essere una persona ben vista da Faraone con un “chi sono io?” alla quale obiezione l’Eterno rispose con un rassicurante “Sarò con te”, Isaia che alla domanda del Signore rispose con prontezza “Manda me”, Giona, il quale, convinto che gli abitanti di Ninive non meritassero la salvezza, se ne andò fisicamente dall’altra parte, come i bambini che si nascondono per non ubbidire ai genitori… fino a Amos, in ordine cronologico il primo dei profeti che, quando fu non proprio cortesemente invitato ad andarsene perché la sua predicazione dava fastidio, rispose fermamente che egli se ne stava tranquillo con le sue mandrie e i suoi sicomori, ma fu l’Eterno a chiamarlo e non poteva certo tirarsi indietro”.
Ogni credente, a suo modo e secondo i suoi talenti, ha ricevuto un mandato di predicazione, non necessariamente da un pulpito ma anche solo con l’esempio. Non ci scoraggiamo, dunque, se non vediamo subito i frutti, perché qualcun* di noi pianta, qualcun altr* innaffia, ma chi fa crescere è Dio”, e non sta certo a noi dettare i tempi.
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