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SINTESI DELLA COMUNICAZIONE

22 Gen

Sia il vostro parlare sì, sì, no, no, perché il di più vien dal Maligno”

Detto dal Figlio di Colui che dettò le dieci parole.

PERDONARE È IMPEGNATIVO

19 Gen

Al CPR di Gradisca, vicino a Gorizia, un migrante ventenne è morto in seguito una rissa. In questo caso non si è trattato di sovraffollamento della struttura, piaga che assilla la gran parte delle Case circondariali italiane, in contrasto con quanto espresso dall’articolo 27 della nostra Costituzione: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

In articolo l’Agenzia Ansa qualche giorno fa ci informa su come sono impegnati alcuni detenuti. Alcuni, perché la maggior parte sono rinchiusi ad oziare, certo senza ricevere la rieducazione prevista dalla Costituzione, e il numero dei loro suicidi, assieme a quello degli agenti della Polizia penitenziaria, è verificabile sui siti che si occupano di questa problematica, come quello di Antigone.

Gherardo Colombo nel 2013 provò ad affrontare il problema proponendo degli spunti di riflessione nel libro “Il perdono responsabile – Perché il carcere non serve a nulla”.

Accanto a perdono c’è l’aggettivo responsabile, perché la richiesta e la concessione del perdono sono atti che seguono una maturazione interiore, anche se alcuni articoli di stampa li banalizzano. Solo i bambini nella loro innocenza possono usare l’espressione “ti perdono” con leggerezza dopo una litigata.

QUESTIONE DI MERENDE

17 Gen

A margine all’episodio della schedatura per reddito avvenuto in una scuola di Roma, rammento un fatto occorso a me quando mia figlia era alla scuola materna.

Ricevemmo “una convocazione per comunicazioni urgenti, alle 17:00”. Tempo di arrivare, alle 17:05 era tutto finito. Mi incontrai con un altro padre che stava uscendo al quale chiesi quale fosse stato il motivo della convocazione.

Mi rispose che le suore, per evitare disparità sociali, avevano deciso che la merenda fosse fornita dalla scuola e non più portata da casa.

Posso capire una decisione del genere per i regali di San Nicolò, come si usa qui, o di Natale, perché può esserci un bambino di famiglia memo abbiente che può restarci male difronte a un regalo di valore ricevuto da un suo compagno, ma ciò non ha nulla a che vedere con la merenda.

La merenda è un fenomeno di crescita sociale, con i bambini che barattano per  scambiarsela, a volte la rubano a un compagno, azione certo non lodevole ma dalla quale la maestra può trarre spunto per una lezione sulla legalità.

I bambini hanno un linguaggio tutto proprio, che supera anche le difficoltà linguistiche e finché non alzano le mani lasciamo che se la sbrighino da soli nei loro negoziati. Sono stati riproposti in versione cinematografica Pinocchio e Piccole donne, qualcuno dovrebbe farlo anche con Cuore che nonostante la sua età ci racconterebbe molte cose sulla scuola.

FIL ROUGE

11 Gen

##&??%## – questa è una parolaccia, nei fumetti;

beep questa è la stessa parolaccia, censurata in un audio;

Valona – questo è il nome di una città estera in italiano;

Florence – questo è il nome di una città italiana in una lingua straniera;

🙂 – questo è un emoticon (faccina);

tvtb – questa è la sintesi di un msg tra due ragazzi;

ΔИНАРА – questa è una parola in un altro alfabeto;

kai ke kelle terre – questo è l’incipit del primo testo accreditato in italiano (o almeno così ci hanno raccontato a scuola);

eccetera…

Qual è il fil rouge che unisce queste parole?

TUTTO COME PRIMA

5 Gen

Sono andato a leggere i miei primi post da quando ho cominciato a tenere un blog pubblico su una piattaforma che nel 2011 ha chiuso e che ho salvato con un back up.

A parte i particolari contingenti e le date, non è cambiato nulla!, le stragi del sabato sera, la droga, le crisi del lavoro, l’inefficienza del sistema scolastico, la guerra (e la relativa indecisione italiana) e in generale la società.

L’aspetto negativo è che si sono aggiunti alti punti di crisi, la denatalità, i femminicidi, la povertà, la xenofobia…

Fa paura non poter vedere un futuro per i nostri giovani 😦

ABBI CURA

28 Dic

snoopylove

Ci sono delle espressioni che in un’altra lingua o in un dialetto sono più pregnanti ed esprimono il concetto in un modo che l’italiano non rende.

Una di queste, che mi piace molto, è l’inglese take care che esprime molto di più del nostro abbi cura.

Quando il Signore domandò a Caino dove fosse Abele questi rispose, “Non lo so, sono forse il custode di mio fratello?”. Penso che il Signore gli avrebbe ribattuto, “Sì, lo sei, perché io ho affidato lui a te e te a lui in un rapporto di reciproci amore e solidarietà” se la tragicità del momento non avesse richiesto una risposta ben più dura.

Take care of yourself corrisponde al nostro riguardati, che va dalla raccomandazione della mamma premurosa di indossare la famosa maglietta di lana a occasioni più serie riguardante la salute.

(In Italia abbiamo conosciuto l’espressione I care durante una campagna elettorale. I care, mi interesso (di te) ).

Ma il semplice take care, usato come saluto di commiato fisico o in calce a un’email (sì, anche a una lettera, esistono ancora 🙂 ) o alla fine di una telefonata tra due persone che si vogliono bene, esprime l‘ἀγάπη agapé, l’amore fraterno e la  ϕιλία, l’amore fra amici che una persona prova per l’altra, a differenza del nostro ciao o del tedesco servus, che etimologicamente esprimono solo disponibilità.

Non va usato verso tutti, proprio affinché non diventi banale come gli americani sono riusciti a fare con love, amore.

BUON NATALE!

16 Dic

Natale2019

Buon Natale a chi passa di qua.

Buon Natale a chi, in buona o mala fede, ha alimentato le solite polemiche: Natale sì, Natale no, presepe sì, presepe no, bambinello bianco o nero, strumentalizzando il Natale per scopi che con esso nulla hanno a che vedere.

Buon Natale anche a chi è convinto di essere l’unico depositario della Verità, dimenticando che invece lo Spirito soffia dove vuole.

Buon Natale a chi si riconosce nello spirito del giubileo. No, non quello istituito da Bonifacio VIII, ma quello biblico (Levitico 25), lo scopo del quale era insegnare che tutto, ma proprio tutto, ci è dato in prestito.

Buon Natale, o buone feste, a chi riesce a stupirsi e farsi domande solo all’apparenza inutili. Re Salomone, al quale fu ordinato di costruire il Tempio di Gerusalemme, si chiese come fosse possibile che Dio sia confinato in quattro mura. A differenza di altri non fu punito per il suo dubbio, perché seppe guardare oltre le apparenze.

Buone feste ai nostri vicini, siano essi ebrei o musulmani, che hanno le loro rispettive feste in questo periodo e, ovviamente, anche agli altri.

Buone feste a chi non crede, perché la fede è un dono e come tale può non essere accettato, non si può aver fede per decreto. Credere – aver fede – è uno di quei verbi che come amare, volere, sentire, non sono retti dal verbo dovere.

Buon Natale, o buone feste, a tutte le donne e bambini maltrattati e ai familiari delle vittime delle “morti bianche” che nel 2021 non dovrebbero esistere.

Buon Natale, o buone feste, a coloro che assicurano i servizi essenziali e alle persone che lavoreranno a causa dell’avidità dei loro datori di lavoro.

Buon Natale, o buone feste, a coloro che si sono trovati sbattuti in Italia dalle onde del mare, o nella “rotta balcanica” novelli Enea, in fuga da una guerra o da un Paese ostile.

Buon Natale, o buone feste, a quanti visto che non è più epoca di biglietti postali di auguri si son visti recapitare una lettera di cassa integrazione o di licenziamento, mentre era stato detto loro che la povertà è finita.

Buon Natale, o buone feste, alle Ragazze Mondiali della Nazionale di calcio, dando una speranza alle ragazze e alle bambine ma che poi sono state dimenticate dalla Rai, servizio di stato, che pure dovrebbe adoperarsi per la parità dei diritti prevista dalla nostra Costituzione.

Buon Natale, o buone feste, a chi non si è trovato in questa lista di persone che per sua natura è aperta, ma poiché siamo sette miliardi, più di qualcuno può essermi sfuggito.

NINA

9 Dic

Nome proprio, f. s.

Di origini incerte, secondo alcuni diminutivo di Anna, da cui Annina, Nina, secondo altri deriva dall’ebraico Hannáh, grazia, graziosa.

Questa volta non cito persone del passato o del presente.

C’è Caterina, c’è suo marito, non c’è e non ci sarà Nina”.

Questo è in estrema sintesi il racconto che Caterina Falchi fa della sua mancata maternità, fatta di tentativi, di prove, di delusioni, non però di rassegnazione ma di presa d’atto del suo stato di mater nullipara (madre senza figli) o, con il termine che usa lei, (madre) diversamente fertile.

Ti avrei chiamata Nina non è un libro scritto tutto d’un fiato, ma frutto di una lunga elaborazione, come spiega l’autrice.

Nina

Un storia difficile che si può solo leggere, raccontato con saggezza da chi l’ha vissuta in prima persona, senza permettersi di sottolineare o chiosare alcunché nel testo, perché nessuno ha il diritto di giudicare i sentimenti altrui.

Un libro scritto anche perché può aiutare altre donne ad affrontare il percorso della fecondazione assistita.

Caterina Falchi abita a Monfalcone, laureata in lingue e letterature straniere è impiegata nell’ufficio vendite di un’azienda locale. Esordisce come scrittrice nei primi anni Duemila con le favole per bambini che vengono pubblicate sul sito di settore Mammafelice. Vince nel 2009 un concorso dell’editore Edigiò, che pubblica il suo “La saponetta magica”. Due favole vengono pubblicate nei progetti di raccolte natalizie di Barilla (2011 e 2012) e alcuni suoi articoli entrano nel portale dedicato ai libri Zebuk. Tra il 2013 e il 15 pubblica racconti con Alcheringa e Delos Books. “Ti avrei chiamato Nina” è il suo primo racconto lungo.

AMALIA

22 Nov

Nome proprio, f. s.

Per fare chiarezza non ha alcun riferimento con l’amore, ma deriva da un termine germanico che significa “perseverante sul lavoro”. Chissà quanti neogenitori avranno confuso. Una mia compagna delle medie si chiamava Amorina, che è tutta un’altra storia.

Lo cito nella la mia onomastica perché Amalia, scritto su un badge giallo, è il nome di una sportellista delle Poste di una gentilezza unica con la quale mi capita di interfacciarmi spesso.

Una cosa infatti è la burocrazia dei vari uffici pubblici o privati con cui abbiamo a che fare, un’altra sono le persone che volta per volta li rappresentano e che non smettono il loro modo di essere neanche vestendo una divisa (o in questo caso un badge). Tra queste c’è la signora Amalia.

I NOSTRI QUATTORDICENNI

17 Nov

Trio

Sabato 16 novembre Ra1 ha dedicato un omaggio a Fabrizio de André che è servito a dimostrare che ci sono delle canzoni che non possono essere interpretate da altri pur validi cantanti ma soprattutto che le sue non sono canzonette ma poesie musicate, alcune delle quali, come La guerra di Piero, hanno già trovato posto nei testi scolastici.

Fabrizio De André, credente a modo suo come dev’essere ognuno di noi perché il cristianesimo non è una religione collettiva ma una fede personale nel repertorio delle sue canzoni più famose annovera tre canzoni che parlano di prostituzione: La canzone di Marinella, Via del Campo e la più esplicita Bocca di Rosa, la donna che reca scompiglio nel paesino di Sant’Iliario andandovi a esercitare il cosiddetto mestiere più antico del mondo, secondo l’espressione usata da Rudyard Kipling.

Ne ho già scritto tempo fa in questo post prendendo spunto dai buoni consigli di una delle vecchie di Sant’Ilario.

Riparlarne solo in occasione di un evento televisivo sarebbe sterile se non si traessero e si riproponessero delle considerazioni relative ai giovani che forse il sabato sera non guardano la televisione.

La prima, consolidata, è che la prostituzione e il relativo sfruttamento che in Italia è reato non esisterebbero se non ci fosse una richiesta, come ha bene spiegato il giornalista Riccardo Iacona nel suo saggio Utilizzatori finali a proposito delle ragazzine di Roma e sarebbe ingenuo pensare che il fenomeno sia terminato lì.

La seconda e in questo momento più importante, è che l’età della violenza sessuale, in virtù della presunta predominanza del maschio, si è abbassata a 14 anni e ciò non dovrebbe ma deve far riflettere i genitori delle ragazze e dei ragazzi, in modo da porre rimedio. Con le ragazze incoraggiandole a stare in guardia e a mantenere i contatti sani con l’altro genere per non cadere nella trappola del “gli uomini sono tutti uguali”, con i ragazzi spiegando che l’essere umano non agisce per istinto, ma può e deve imparare a dominare i suoi desideri e a esprimerli nel modo corretto considerando sempre le ragazze non come femmine ma come persone.

Concetti che in questo mese più di qualcuno esprimerà per poi tirarli fuori dal cassetto nel novembre 2020.

In assenza di una politica di educazione di genere nella scuola sulla quale ormai non c’è alcuna speranza salvo un un improbabile cambiamento radicale di prospettiva, il compito spetta ai genitori, ed è un compito troppo importante per cadere nel “non ho tempo”. Coloro che non riescono a parlarne con i figli dovrebbero cercare aiuto sul territorio, a cominciare dai Consultori familiari o dalle associazioni di volontariato composte da persone competenti, prima che i figli si confrontino con i loro pari o con il “dottor Google” che già tanti danni sta facendo in medicina.

A proposito di Rudyard Kipling e di linguaggio di genere, avete fatto caso che a fronte del “p. Eva” non c’è un corrispettivo che riguardi Adamo? Anche questa è una forma di discriminazione che nel 2019 non dovrebbe più esistere.

(foto Ra1)