Non passa giorno che i telegiornali non mandino un servizio sull’ultimo naufragio di un barcone di disperati. Non trovandone uno nei pressi di Lampedusa l’attenzione si è spostata nel mar Egeo, che geograficamente riguarda la Grecia e la Turchia. Viene posta l’enfasi anche sulle morti dei bambini.
L’unico rischio che riesco a percepire in questi servizi è quello dell’assuefazione, come quando si vede troppe volte uno spot pubblicitario che, passata la novità, non fa più effetto.
Di certo ciò che sta succedendo in Siria e, di conseguenza, nel mar Egeo, non è addebitabile a me o a voi ma, per dirla con Bertold Brecht, a “chi sta in alto”, a chi, dall’Onu in giù, continua a fare riunioni urgenti – magari dopo un mese – per dimostrare all’opione pubblica che sta facendo qualcosa. Sì, certamente sono scacchieri internazionali molto delicati, in cui se fai questo urti quello e se fai quello urti quell’altro, un camminare sulle uova, insomma, mentre ci sono persone che continuano a morire.
Però, cari mezzi di informazione, così come siete stati zitti e buoni per troppo tempo sulla Siria, quando molti attivisti chiedevano informazioni e soprattutto visibilità, date informazioni utili e non filmati che, pur essendo veri, visti nello schermo del televisore e con riferimenti a luoghi che ben pochi conoscono, sembrano filmati di repertorio.
Un buon silenzio stampa, magari con aggiornamenti settimanali – salva l’eventualità di una notizia veramente interessante – sarebbe un segno di rispetto verso queste persone disperate.