Di morte, anche in relazione alle disposizioni anticipate di trattamento, ho scritto più volte arrivando citare il paradosso per cui agli inizi del secolo scorso, considerate le comunicazioni dell’epoca, molte persone che emigravano in Australia pur non ammettendolo erano sicure di non vedere più i loro familiari, in una specie di morte bianca.
Pochi sono coloro che sanno definire il concetto di nascita e ancora meno coloro che sanno vincere il tabù della morte. Diverso è il caso delle sofferenze durante una malattia. Per il credente la vita eterna inizia dalla sua conversione e la morte, salvo il vuoto che lascia in famiglia e nella cerchia di amici, è solo una una tappa dell’esistenza. Il non credente la vede come il compimento della sue esistenza.
Nella cultura cristiana la sepoltura è un momento ristretto alla famiglia, a cui spetta la successiva rielaborazione del lutto, o al massimo alla comunità.
Le tradizioni funebri nel nostro Mezzogiorno sono molto elaborate. Il defunto viene trasportato dall’ospedale a casa dove viene allestita la camera ardente con le piagnone, donne pagate gemere e lamentarsi. Nei paesi c’è un andirivieni di persone, anche sconosciute, che passano per le condoglianze. Qualcuno porta del cibo per esentare la famiglia dalle faccende di cucina, poi, durante la cerimonia funebre, molte delle stesse persone si ripresentano. La cosa sta ridimensionandosi a livelli meno spettacolari, così come nella nostra società l’impatto con la morte si è un po’ ammorbidito. Oltre al venir meno dell’obbligo dell’abito nero per le vedove (e non per i vedovi, nota) per un anno, spesso dribblato con il fatto che il nero è diventato un colore di moda come gli altri e i carri funebri da neri sono passati a un più accettabile grigio.
L’aspetto negativo della società dell’immagine e dell’apparire si è però fatto sentire anche in nel mondo degli affetti.
Alla morte di un personaggio pubblico molti si sentono in obbligo di lasciare il loro pensiero in quel libro di presenze elettronico rappresentato da Twitter, con successivo controllo di coloro che avrebbero dovuto e non ha partecipato.
Negli ultimi anni molti funerali da fatto privato della famiglia sono diventati occasione di incontro pubblico e mediatico, da quello di una persona sconosciuta fino al giorno prima e morta in circostanze alle quali le televisioni hanno dato un’enfasi superiore a quella richiesta dalla cronaca.
Si è imposta l’usanza degli applausi all’arrivo e all’uscita dalla chiesa del feretro anche se non ne è chiaro il motivo e nel caso di bambini il rilascio nell’aria dei palloncini bianchi.
Senza nulla togliere alla persona di Fabrizio Frizzi, uomo buono e impegnato nel fare del bene senza palesarlo né al suo personaggio tanto amato da tanti spettatori di ogni età ieri in un twitt ho espresso le mie perplessità sulla trasmissione in diretta del suo funerale su Rai1 sia perché, come ho scritto più sopra, le esequie sono un fatto privato sia perché può essere un precedente non da poco che costringerà l’azienda alla valutazione di farlo o meno alla morte di un’altra persona dello spettacolo.
A Trieste c’erano due attori di teatro che lavoravano spesso assieme. Alla morte di lui gli hanno intitolato il teatro dove si esibivano. Mi chiedo cosa faranno alla morte di lei.