Pare non esista nell’iconografia classica un omologo femminile del celebre quadro della fuga di Enea da Troia ardente, con il padre Anchise sulle spalle e il figlio Ascanio al fianco perché, si sa, la guerra è “cosa da uomini”. Figure femminili appaiono nella “Primavera” di Botticelli, la “Venere di Milo” o la “Nascita della Venere”, donne però leggiadre e per nulla affaticate o prese dai problemi quotidiani.
Invece, come ci informa la cronaca quotidiana, la guerra è oggi più che mai cosa da donne, guerra quotidiana che spesso si consuma tra le mura domestiche, donne che non arrivano a fine giornata perché uccise da coloro che dicevano di amarle. L’Ordine dei Giornalisti è intervenuto vietando l’uso del termine “raptus” negli articoli, sovente inutili, sui femminicidi.
Ufficialmente si dovrebbe parlare di violenza di genere ma si usa parlare di violenza sulle donne perché ben pochi sono i casi in cui la vittima è l’uomo.
Violenza non è solo quella fisica, che scaturisce nello stupro o nel femminicidio ma, più subdola, è anche quella verbale, psicologica, di telecontrollo ed economica, perché, altro luogo comune da rivedere, è l’uomo a “portare il pane a casa”, salvo poi stendersi sul divano davanti alla televisione o andare al bar con gli amici, lasciando che a prendersi cura della casa, dei figli e spesso dei genitori anziani sia la donna, per questo ho iniziato citatando l’assenza di un Enea in fuga al femminile. Molte donne in fuga dal compagno violento sono ospiti delle poche case rifugio gestite da associazioni private in assenza di una seria politica dello Stato debbono essere assistite perché si trovano dall’oggi al domani senza la possibilità di un inserimento nel mondo del lavoro, avendo svolto solo quello di casalinga.
Donne che quando va bene sono abbandonate perché il loro compagno ha trovato una”distrazione” (altro eufemismo) o perché sono riuscite ad affermarsi sul lavoro, cosa che anziché essere apprezzata viene vista da molti uomini come una minaccia alla loro presunta superiorità (se avete fatto caso ho usato il termine compagno, tenendo conto delle convivenze e delle unioni civili. Per quanto riguarda le unioni matrimoniali la riforma del diritto di famiglia ha abrogato la figura del capofamiglia mettendo i coniugi in situazione di parità e sostituendola con il termine “intestatario scheda”).
Ultimamente le donne hanno cominciato a lavorare per contribuire all’andamento economico della famiglia ma soprattutto per realizzare se stesse pienamente nella società . Si è finalmente compreso come la presenza femminile nel mondo del lavoro sia uno dei punti di forza dell’economia e della politica, anche se in Italia le cose vanno a rilento.
Per una donna rimanere sola può essere un fatto naturale per la morte del compagno e molte donne con uno o più figli hanno svolto il loro compito egregiamente riorganizzando la loro vita, perché la vita continua. Rimanere sola perché lui se ne va comporta, come accennavo più sopra, una serie di problemi che vanno dagli aspetti legali in vista di della separazione o del divorzio, ma anche l’organizzazione delle visite ai figli da parte dell’ex coniuge, la continua tensione nel fare perfettamente le cose della vita quotidiana fatta di progressi e di errori che ogni genitore compie, per non prestare il fianco a eventuali accuse.
Donne forti, coraggiose, certo con qualche momento di sconforto da cui però sanno rialzarsi, e a cui va tutto il nostro rispetto e sostegno.
Con dedica.