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ESSENZIALE

2 Nov

ESSENZIALE

L’essenziale è invisibile agli occhi, ricorda la volpe al Piccolo Principe.

Di quanta roba inutile – “roba” nel senso verghiano nei Malavoglia – ci circondiamo? Inutile – inutile, nel senso che potremmo tranquillamente farne a meno o che, come troppo spesso succede, abbiamo comperato e non sappiamo più di avere a casa.

Ognuno faccia la propria lista, che non deve necessariamente di privazioni. Gesù, a chi obiettava che l’olio con cui la peccatrice gli ungeva i piedi asciugandoli con i capelli si sarebbe potuto vendere e il ricavato darlo ai poveri, rispose “Lasciatela fare, i poveri li avrete sempre con voi”. Frugalità non è sinonimo di povertà.

Scrive Luis Sepúlveda in Il potere dei sogni che ha fatto spazio nella sua biblioteca perché non ha senso tenere i libri di facile reperibilità.

Un buon esercizio è pensare a come riempiremmo la valigia per un volo low cost, dove si sa che le compagnie si rifanno sul peso dei bagagli. “Questo sì, questo no, questo non so, questo mi è proprio indispensabile, questo costa poco e lo ricompro all’arrivo”.

Finiremo col fare spazio a casa, o sugli scaffali della libreria, ma soprattutto nel nostro stile di vita educandoci ad un acquisto e ad un consumo più consapevoli che di questi tempi – a prescindere dalle possibilità economiche di ciascuno – non è da poco.

L’esempio attuale è la sostituzione della bottiglietta di plastica con la borraccia. Ci sono certo occasioni in cui non è possibile, anche se prima o poi diventerà un accessorio accettato come lo Smarty,  così come non è opportuno presentarsi ad un incontro con la borsa della spesa, ma nella maggior parte delle volte si può fare.

FINE DI UN’EPOCA

13 Apr

Tonino

All’universo mondo questo annuncio non dice niente, perché non stiamo parlando del Caffè Pedrocchi di Padova o del Caffè degli Specchi di Trieste con la sua splendida piazza dell’Unità d’Italia, ma la cessazione dell’attività del “Bar La Villa” (il bar dei giardinetti per capirci o meglio, proprio “da Tonino”), lascia un vuoto nelle abitudini, a cominciare dai bambini con il loro vai e vieni dalle altalene e gli scivoli chi per una caramella, chi per un bicchiere d’acqua o un pacchetto di patatine, ai passanti che entravano a leggere il giornale qualche volta a sbafo, fino ai vecchietti, che in un paese agricolo vestito da città si incontrano per discutere ogni giorno delle stesse cose: la previdenza, le semine, gli innesti e le potature, la siccità, che pronunciano sìccita, la morte di Vituccio o Nunziatina, che hanno appena letto sui manifesti mortuari, che erano ancora giovani, e che tutti pensavano essere in salute.

Costruiranno, si dice, un bar più moderno, e nell’attesa c’è chi migrerà verso un altro luogo e quanti, come i vecchi di Claudio Baglioni si siederanno sulle panchine, nei giorni di sereno, aspettando un amico che forse non si presenterà e nel dubbio si alzeranno e andranno a dare un’occhiata agli annunci pensando: “eppure l’ho visto ieri”.

Di sicuro, dopo cinquant’anni, non passerà più Tonino.

LA BELLEZZA DEL NATALE

27 Dic

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Dopo il disgusto provocato dal fiorire a dicembre, mai in aprile o agosto, della massa di 45XXX solidali come se gli altri mesi non contassero, dopo aver eliminato le email di auguri, magari perdendo qualche sconto in allegato ma fa nulla,

restano i messaggi di auguri sul telefono, via SMS , Telegram e WhatsApp che sono i più antipatici, da persone che li mandano a tutti, che neanche sanno di averti in rubrica e forse non sanno più chi sei, come l’artigiano cui tre anni fa avevi chiesto un preventivo.

I più antipatici sono quelli di amici e parenti che ti mandano un messaggio standard, così impersonale che si vede lontano un miglio che non è destinato a te ma a una mailing list in rubrica.

Quelli che per due anni di seguito ti domandano la data del tuo compleanno e poi per due anni di seguito non ti fanno gli auguri oppure quelli che ti chiedono il numero con un “dai, una sera andiamo a cena assieme” e poi non si fanno più sentire.

A qualcuno, soprattutto parenti, rispondi per il quieto vivere o per non turbare gli equilibri familiari, gli altri li cancelli dalla tua rubrica, così fai spazio nella memoria dello smartphone tanto, se vogliono, il tuo numero hanno dimostrato di averlo e, sempre se vogliono, possono sempre chiamarti a voce.

LA TORRE CHE TOCCA IL CIELO

26 Nov

Tutta la terra aveva un’unica lingua e uniche parole. Emigrando dall’oriente, gli uomini capitarono in una pianura nella regione di Sinar e vi si stabilirono. Si dissero l’un l’altro: “Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco”. Il mattone servì loro da pietra e il bitume da malta. Poi dissero: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra”. Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che i figli degli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: “Ecco, essi sono un unico popolo e hanno tutti un’unica lingua; questo è l’inizio della loro opera, e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro”. Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra. (Genesi 11:1-9)

Questo è l’episodio della divisione dei popoli in base alle lingue conosciuto anche da chi non frequenta le Scritture, perché Babele è diventato sinonimo di confusione arrivato fino al dialettale baba, plurale babe, detto di donna che parla facendo solo rumore, ora in disuso per la sua connotazione offensiva.

Il tema però, non è costituto dalle lingue ma dalla voglia degli uomini di sfidare l’alto, l’infinito, gli dei, i limiti della natura umana che in epoca moderna si sviluppa in alcuni sport estremi.

Si dice che il Pirellone sia un pelo più basso della guglia più alta del Duomo di Milano, mentre c’è una sfrenata corsa alla costruzione del grattacielo più alto del mondo, spesso aggiungendo un’inutile antenna.

Qualcosa del genere, riferisce Il Piccolo di ieri, sta accadendo nel vicino Est europeo con la costruzione a Bucarest del tempio ortodosso più alto al mondo con i suoi 120 metri e la moschea di Tirana che batterà di qualche metro quella di Sarajevo (sorvoliamo sull’errore del giornalista di averla, un paio di righe dopo, definita chiesa). Un misto di mal riposto orgoglio nazionalistico, politica e mal celato tentativo supremazia religiosa.

Esempi del genere li troviamo in Italia con il Tempio mariano di Monte Grisa, a Trieste, costruito in tempi di crisi economica e oggetto di recente di inopportuni restauri d’oro e la chiesa di San Giovanni Rotondo, troppo grande per le reali esigenze.

Eppure, nell’incontro con la samaritana al pozzo (Giovanni 4:21-24), Gesù affermò a chiare lettere che “viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità”.

Chiesa, dal greco ἐκκλησία, vuol dire radunanza, comunità dei credenti, indicando il contenuto e non il contenitore, ma pochi ne fanno caso, dando così luogo a inutili rivalità come quelle di Bucarest e, per il mondo mussulmano, di Tirana.

MIGRAZIONI INTERNE E ACCOGLIENZA

24 Giu

 

Il primo giugno di anni or sono andai a lavorare a Firenze. Il 24 del mese, giorno di San Giovanni con la mia fidanzata, attuale moglie, andai in gita nell’allora romantica Venezia, senza tornelli e negozi di cineserie varie.

Dopo pranzo mi ritrovai, senza farci caso, a ordinare due “affè”.

Belli quei posti che posti che ti fanno sentire a casa senza che te ne accorga. In una ventina di giorni, infatti, persi la c forte e iniziai a parlare all’impersonale “si va, si viene, si dice” (che tutto sommato può tornare utile: “Chi, noi? No, è un’affermazione di principio” 🙂 ”.

A NORD DI NESSUN SUD

23 Mag

Nel sermone dal monte Gesù di Nazareth tra le altre cose dice:

“Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”, richiamando il comando in Levitico 19:18 “Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Matteo 5:43).

La seconda parte, odierai il tuo nemico, non trova spazio nelle Scritture, ma è un’aggiunta di comodo dei rabbini che circolava all’epoca di Gesù. In Levitico 19, ai versetti 33-34, troviamo invece scritto “Quando un forestiero dimorerà presso di voi nella vostra terra, non lo opprimerete. Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso, perché anche voi siete stati forestieri in terra d’Egitto”.

Le mie citazioni sono come quasi sempre dalla traduzione ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana. Sembra strano che un leader politico non le conosca, come ha dimostra nel suo show del febbraio scorso, “Gli ultimi saranno i primi”. Così Matteo Salvini in piazza Duomo sul palco di “Prima gli italiani. Ora o mai più, mostrando un rosario e citando “un Matteo più importante di me, che non è Renzi“. “Me lo ha regalato un don, fatto da una donna che combatte in strada, e non lo mollo più”, ha detto il leader della Lega. Il Matteo più importante di lui è con tutta evidenza l’evangelista della mia prima citazione.

Non si possono estrapolare le frasi della Bibbia che fanno comodo, facendo loro dire ciò che non dicono.

I nostri nonni o genitori come gli ebrei della Bibbia (che andarono in Egitto in seguito a una carestia) sono stati forestieri per lavoro in Belgio, Germania, Sud America e Australia, e hanno sbattuto il naso di fronte a molti cartelli “È vietato l’ingresso ai cani e agli italiani”. Senza andare all’estero basterà ricordare i cartelli “Non si fitta ai meridionali” a Torino, dove molti andavano a lavorare alla Fiat. Quei terroni i nonni dei quali furono mandati a combattere sul fronte nordorientale della prima guerra mondiale, senza sapere perché (“lì, dove le pietre le chiamano sassi”, come diceva un mio amico pugliese).

Prima – avverbio di tempo – ha senso solo se c’è un dopo, altrimenti in italiano si dice solamente, e di fronte alle chiusure spesso pretestuose, come sta succedendo a Monfalcone, con impedimenti burocratici contro la costruzione del centro islamico e il diniego della erezione di tre gazebo per la festa della fine del Ramadan perché è un evento contrario all’identità locale, quando poi scopri che nelle sagre – autorizzate – trovi dalla cucina romana a quella australiana (notizia di oggi è che anche il comune di Pordenone autorizza solo i cibi autoctoni).

Un vero peccato perché la vicina Trieste è sempre stata un melting pot, una fucina di interscambio di idee il cui unico ostacolo può eventualmente essere quello linguistico (all’inizio dello scorso secolo, invece, la borghesia parlava indifferentemente italiano, sloveno e tedesco). Certo dispetti di frontiera ce ne sono stati, ce ne sono e ce ne saranno prima con la Jugoslavia e ora con la Slovenia ma sono fenomeni fisiologici che non minano la convivenza. Trieste aveva (da molti anni è chiuso ma dall’esterno si vede la mezzaluna) anche il cimitero turco, proprietà del consolato della Turchia, ma dove turco va letto piuttosto nel senso di musulmano come nel detto di quando Dubrovnik era italiana e si chiamava Ragusa: “No semo (siamo) né turchi né ebrei, semo nobili ragusei”.

Le statistiche ci dicono che la paura del diverso e il numero dei reati anche a sfondo sessuale commessi dagli stranieri sono in numero molto inferiore rispetto a quello che il martellamento dei media vuol farci credere. Ci sono zone critiche, nessuno lo nega, ma la microcriminalità quotidiana è anche italiana.

Se invece di imporre divieti, alimentare paure, guardare all’altro con diffidenza, cominciassimo a parlargli, anzi, a parlarci l’un l’altro? Scopriremmo, come ha la fortuna di fare chi lavora nei centri di ricerca internazionali di Trieste (Area Science Park, Ictp, MIB, Sissa e altri) o chi studia al Collegio del Mondo Unito di Duino, che le differenze ci sono – d’altronde sai che noia se fossimo tutti uguali! – che l’altro è prima di tutto una persona e come tale va rispettata, ma soprattutto che un cinese e un medio orientale hanno uno humor diverso dal nostro ma fondamentalmente ridono o piangono come noi.

Il titolo del celebre libro di Charles Bukowski A sud di nessun nord dovrebbe rammentarci che siamo sempre il Nord e noi in Italia il Sud di qualcun altro. Certamente della Finlandia, ma anche della Germania, e della Francia che non ci impone terrore o diffidenza ma ci sta mettendo i piedi in testa dal punto di vista economico.

C’è da riflettere.

L’IMMAGINARIO FEMMINILE

7 Nov

Intervista a tutto campo di Michela Murgia a Guillermo Mariotto, stilista, sul corpo della donna. Com’è cambiato in questi anni l’immaginario femminile? Quali forze segnano, agiscono sul corpo delle donne?

In cui si parla della taglia 48, dei canoni imposti dalla moda, delle libertà, del tempo che passa, dei “cataloghi” delle mise delle signore – mai visti per gli uomini – ma anche dell’uso insistente, di conseguenza fastidioso, del turpiloquio da parte di una donna di successo.

E SE NON CI “SELFASSIMO”?

26 Lug

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È di una decina di giorni fa la notizia della signora che per farsi un selfie in una mostra di Londra ha provocato un effetto domino dal costo di 200.000 dollari.

Questa mattina La Stampa riporta la notizia di una quindicenne morta nel tentativo di farsi un selfie estremo.

TriestePrima invece ci racconta di un giovane che si è fatto filmare mentre si tuffava dal molo Audace di Trieste per sfidare la tempesta, con il risultato della figuraccia di essere salvato dalla Guardia Costiera.

Tutti comportamenti estremi, che si accompagnano all’uso irresponsabile del cellulare o dello smartphone alla guida, che ha visto l’inasprimento delle sanzioni, ma anche da parte di molti pedoni che, guardando lo schermo, vanno a sbattere il naso da qualche parte.

Fenomeno del momento? Se così fosse speriamo finisca presto, però sembra più mania di protagonismo e ansia di risposta, per non parlare dei gesti estremi degli adolescenti sui binari ferroviari, fenomeni ormai monitorati dalla Polizia Ferroviaria.

Cose già dette, ma val bene ripetere che è più importante la persona che le sue troppe fotografie che uno smartphone ci permette di fare, che una telefonata vale dieci messaggi WhatsApp, e che le relazioni faccia a faccia, quando possibili, valgono molto di più.

Senza sottovalutare il rischio di eventuali divieti indiscriminati che andrebbero a colpire tutti, anche coloro che delle tecnologie fanno un uso cosciente e responsabile, e che rammentano i cartelli in alcuni esercizi commerciali “PER COLPA DI QUALCUNO NON SI FA CREDITO A NESSUNO”.

Pensiamoci.

P.s. Mio nipote, 10 anni, al mare ha comperato un bastone per i selfie… mi sono tranquillizzato quando ho visto che lo usa per grattarsi la schiena. 🙂

“MATRIMONIO DA FAVOLA”

17 Giu

Leggo sui giornali di un matrimonio da favola a Trieste, quello tra Viktoria Swarovski, l’erede della famiglia dei famosi brillanti e Werner Murz, manager.

Niente da dire sulla concessione del colle da parte del comune di Trieste come avviene per le grandi occasioni – domani piazza Unità d’Italia sarà interdetta alla circolazione anche pedonale per il concerto della Filarmonica della Scala patrocinata da Allianz – anche per il ritorno in termini di visibilità turistica che questi eventi possono portare. “Con l’approssimarsi dell’ora fatidica, intanto, il parcheggio antistante la cattedrale è stato blindato con nastro a strisce bianche e rosse. Vi avevano accesso solo automobili battenti targa tedesca e austriaca”.

Diverso è, o dovrebbe essere, la cessione della chiesa, intesa come edificio, che a differenza dagli evangelici e protestanti, per i cattolici è un luogo sacro, per un evento che ha tutti gli estremi per definirsi mondano altrimenti i due si sarebbero sposati tranquillamente in Austria.

Il matrimonio, anche quello cattolico, è un contratto tra due persone (la parola è brutta ma richiama in Italia gli articoli del Codice civile), che dovrebbe esulare dalla spettacolarizzazione e dalla ricerca di location particolari ma, soprattutto, per il suo significato di condivisione e testimonianza, dovrebbe essere aperto a tutti, mentre “Sin da ora di pranzo un paio di agenti di sicurezza hanno iniziato a impedire ai visitatori di avvicinarsi all’altare”.

Resto in attesa di leggere l’opinione di Giampaolo Crepaldi, sempre attento ai costumi e alle esagerazioni, o chi per lui sul settimanale Vita nuova della diocesi di Trieste.

(I virgolettati sono citazioni dall’articolo de Il Piccolo di Trieste).

GIOCHI D’INFANZIA

18 Giu

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Parlavamo giorni fa dei giochi dei bambini. No, niente videogame, ma quelli di società quando piove, come il “Non t’arrabbiare”, il “Gioco dell’oca”, la dama e soprattutto il domino, che noi abbiamo relegato ai bambini mentre è molto in uso tra gli adulti nei paesi dell’Est, disponibile nei bar e nelle hall degli alberghi al pari delle carte da briscola nelle nostre trattorie, e poi quelli da cortile, oltre al calcio improvvisato, la corsa dei tappi con piste disegnate col gesso, ormai quasi limitata alla spiaggia, dove i tappi a corona sono sostituiti dalle biglie e quello nella fotografia, proposta da su Twitter da @gegola, e che dalle mie parti si chiama “Porton”.

Lo si trova nei nostri cortili, qualche volta sui marciapiedi,  e anche sui ponti delle navi da crociera.

Mi ha colpito vederlo nel tristissimo film La sposa bambina, ambientato nello Yemen, segno che esiste un linguaggio dell’infanzia che travalica i confini e che, troppo spesso, gli adulti riescono a rovinare.