Di fronte alle catastrofi, agli incidenti stradali e agli attentati, pur tenendo conto dell’emotività del momento dei sopravvissuti che si dicono “miracolati”, dimenticando o forse non conoscendo la riflessione che ne fa Primo Levi in “Se questo è un uomo”, è certamente inopportuno addossare responsabilità all’Eterno come ha fatto il vescovo di Andria ai funerali delle vittime dello scontro ferroviario, richiamando l’incipit del salmo 22 “Dio mio, Dio mio, perché ci hai abbandonato? Perché hai permesso che succedesse tutto questo a tanti nostri fratelli, sorelle, padri, amici?”
Le responsabilità dell’incidente, che saranno definite dalla magistratura, così come l’arretratezza del nostro Mezzogiorno non sono certo causa sua, che non fa il capostazione né conduce treni, né vale il detto “abbandonati da Dio e dagli uomini” o il titolo del libro “Cristo si è fermato a Eboli”, scritto da un altro Levi, Carlo, nel 1945, che vi fu mandato al confino dal regime fascista nel quale l’autore denunciava l’arretratezza del Mezzogiorno, assieme a Fontamara di Ignazio Silone e ai molti saggi scritti sulla “questione meridionale”, ma potremmo fare lo stesso ragionamento distinguendo tra chi è morto e chi è rimasto in vita il giorno dopo a Nizza e via citando.
L’esclamazione di Gesù sulla croce va intesa nel contesto del salmo 22, da cui è tratta, è simile all’espressione “Tutto è compiuto” riportata alla morte di Gesù da Giovanni (19:30).
Gesù, va rammentato, era un ebreo e citava i salmi al loro modo. All’epoca, si sa, non erano numerati e venivano citati con il primo verso anche per richiamare tutto il testo
“Dioo mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Tu sei lontano dalla mia salvezza”: sono le parole del mio lamento. Dio mio, invoco di giorno e non rispondi, grido di notte e non trovo riposo. Eppure tu abiti la santa dimora, tu, lode di Israele. In te hanno sperato i nostri padri, hanno sperato e tu li hai liberati; a te gridarono e furono salvati, sperando in te non rimasero delusi. Ma io sono verme, non uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo. Mi scherniscono quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo: “Si è affidato al Signore, lui lo scampi; lo liberi, se è suo amico”. Sei tu che mi hai tratto dal grembo, mi hai fatto riposare sul petto di mia madre. Al mio nascere tu mi hai raccolto, dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio. Da me non stare lontano, poiché l’angoscia è vicina e nessuno mi aiuta. Mi circondano tori numerosi, mi assediano tori di Basan. Spalancano contro di me la loro bocca come leone che sbrana e ruggisce. Come acqua sono versato, sono slogate tutte le mie ossa. Il mio cuore è come cera, si fonde in mezzo alle mie viscere. È arido come un coccio il mio palato, la mia lingua si è incollata alla gola, su polvere di morte mi hai deposto. Un branco di cani mi circonda, mi assedia una banda di malvagi; hanno forato le mie mani e i miei piedi, posso contare tutte le mie ossa. Essi mi guardano, mi osservano: si dividono le mie vesti, sul mio vestito gettano la sorte. Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, accorri in mio aiuto. Scampami dalla spada, dalle unghie del cane la mia vita. Salvami dalla bocca del leone e dalle corna dei bufali. Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all‘assemblea. Lodate il Signore, voi che lo temete, gli dia gloria la stirpe di Giacobbe, lo tema tutta la stirpe di Israele; perché egli non ha disprezzato né sdegnato l’afflizione del misero, non gli ha nascosto il suo volto, ma, al suo grido d’aiuto, lo ha esaudito. Sei tu la mia lode nella grande assemblea, scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli. I poveri mangeranno e saranno saziati, loderanno il Signore quanti lo cercano: “Viva il loro cuore per sempre”. Ricorderanno e torneranno al Signore tutti i confini della terra, si prostreranno davanti a lui tutte le famiglie dei popoli. Poiché il regno è del Signore, egli domina su tutte le nazioni. A lui solo si prostreranno quanti dormono sotto terra, davanti a lui si curveranno quanti discendono nella polvere. E io vivrò per lui, lo servirà la mia discendenza. Si parlerà del Signore alla generazione che viene; annunzieranno la sua giustizia; al popolo che nascerà diranno: “Ecco l‘opera del Signore!”. (Salmo 22)
Inizia con un interrogativo e con la constatazione che prima di morire Gesù si sentiva lontano dal Padre, perché portava il peso del peccato dell’uomo, ma finisce con un inno di celebrazione e lode con il quale Gesù, nel momento della morte dimostrava la sua coerenza nella missione affidatagli, sintetizzata nel “Tutto è compiuto” secondo Giovanni.
Estrapolare un testo, biblico, storico o letterario che sia, e citarne solo la parte più famosa può essere fuorviante, soprattutto se lo si associa ad una riflessione propria. Gesù, nelle beatitudini cita un ordine del Levitico al quale i rabbini avevano agggiunto del proprio, “Avete udito che fu detto, “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico” (Matteo 5:43), la seconda parte in Levitico non c’è.
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