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DISCORSI SCOMODI

24 Lug

Detesto quell’usanza nel mondo evangelico e protestante che, con un neologismo di cui mi assumo la paternità, definisco “versetteologia”, cioè l’arte di coloro che sostengono le loro tesi citando la Scrittura con versi estrapolati qua e là dal loro contesto facendo assumere loro un significato spesso molto lontano da quello inteso dagli scrittori ispirati, un po’ come i titoletti delle diverse edizioni della Bibbia.

Do per scontato, anche se purtroppo so che nella realtà non è così, che ogni credente ha una buona conoscenza della Scrittura, perché è la base della sua fede e della sua crescita spirituale.

Non si tratta di emulare gli ebrei (uomini) che a tredici anni conoscevano la Torah a memoria. I tempi e i mezzi sono cambiati e certamente non è il caso di impararne il testo a memoria. Una copia della Bibbia in italiano costa pochi euro e tutta la Bibbia, spesso in app gratuita, occupa pochi Mb in unosmartphone. Mi piace molto l’espressione dell’autore di Ebrei quando scrive “Qualcuno ha scritto in qualche parte” citando un passo di Isaia, a specificare che non sempre serve citare la fonte.

Si tratta piuttosto di conoscerne la struttura, dove e soprattutto perché trovare questo o quello. Certo, conoscere i testi fondamentali aiuta, e questo si può e si deve fare anche insegnandolo ai bambini. Perché è nostra responsabilità dare un’educazione alle nostre figlie e ai nostri figli, senza peraltro imporla.

Si tratta anche di non affidarsi ad una sola traduzione – che molti ritengono quasi ispirata – perché ha in essa tutti i limiti culturali del traduttore, che non fanno parte dell’ispirazione del testo. Così come, leggendola, se troviamo una parola ormai vecchia possiamo sostituirla con un’altra con lo stesso significato.

Il paradosso è che da Lutero in poi credenti si sono battuti per il libero esame della Bibbia, cosa non scontata in Italia fino agli anni ’70 del secolo scorso, ma quanti sono ora i credenti che la leggono con costanza e quanti, soprattutto, coloro che la studiano? Se superato lo scoglio storico-linguistico continuiamo a dire che la Scrittura è difficile, entriamo in quel gioco pericoloso che autorizza interpreti più o meno ufficiali, ma sempre detentori della verità e quindi mediatori, come gli ebrei finirono con l’autorizzare gli scribi e i farisei con le conseguenze che sappiamo.

Ritengo che vada rivisto tutto l’attuale “essere chiesa”, intesa come comunità e non istituzione.

La chiesa non è un monolite costruito da un patchwork che mette assieme i brani in cui Luca nel libro degli Atti e l’apostolo Paolo ne scrivono.

È piuttosto una realtà dinamica, mutevole nel tempo e nello spazio.

Le comunità che troviamo negli Atti e nelle lettere di Paolo ma anche l’esempio delle sette chiese dell’Apocalisse ci presentano realtà molto diverse tra loro, con stili di vita e tradizioni differenti, che trovano l’unità nella fede in Cristo dei loro membri. Il cosiddetto Concilio di Gerusalemme di Atti 15 ne è la dimostrazione. Mette infatti d’accordo il pensiero giudaico-cristiano e quello etnico-cristiano senza appiattire nessuno dei due, e dei tre divieti imposti in quell’occasione ne sopravvive solo uno, quello relativo ai disordini sessuali, che prescinde da quella decisione e dalle tradizioni più strettamente ebraiche.

In questa luce va letto ciò che Paolo scrive ai Corinzi, lettere che sono state spesso strumentalizzate per far dire all’apostolo le cose più diverse.

Qual è la discriminante per considerare alcune imposizioni superate, magari a metà, del Nuovo Testamento, cito ad esempio il velo, e altre no, come la sottomissione della donna nella comunità? In altre parole, quale legame di civiltà esiste tra il primo e il ventunesimo secolo dopo Cristo? Le donne di oggi sono ignoranti come quelle del primo secolo?

Ricordiamo piuttosto che la chiesa è stata costituita sulle realtà delle parole di Pietro, “tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Tutto il resto, anche alcune direttive di Paolo, è burocrazia, intesa come organizzazione, che viene dopo e non è detto che oggi serva. Pensiamo all’insuccesso della comunione dei beni nella chiesa di Gerusalemme e alla conseguente necessità di una colletta di sostentamento.

Gesù promise che dove due o tre sono riuniti nel suo nome sarebbe stato in mezzo a loro, questo è essere chiesa. Gli olandesi invece usano dire che un cristiano è un credente, due formano una chiesa, tre producono una divisione, ed è quello che sta succedendo anche in Italia da troppo tempo.

Lasciando da parte i grandi raduni americani di risveglio evangelico degli anni ’70 che spesso in buona fede rammentavano i movimenti hippy nel famoso raduno di Woodstock del 1969, e il fenomeno dei telepredicatori, molti dei quali ne hanno fatto un business, come in altre realtà anche la spiritualità, l’essere chiesa, ha assunto anche un’altra dimensione. Di certo non le chiese nazionaliste (chiesa d’Inghilterra, di Scozia, di Norvegia eccetera) o peggio le chiese segregazionaliste di colore tuttora esistenti negli Stati Uniti.

Ma poiché siamo umani una certa empatia, che non è quella “io son di Paolo, io di Apollo e io di Cefa” di 1a Corinzi 1 e non nega le fondamenta dell’unità ma le esprime in altro modo, va messa in conto.

Spesso si è chiesa, si è cioè comunione con credenti solo fisicamente lontani, ma con una forte unione nello Spirito, e poco importa se ci si incontra di persona solo di rado. Se Gesù – o l’apostolo Paolo – avesse avuto a disposizione i mezzi di comunicazione e i Social Media di oggi li avrebbe certamente usati. Lo Spirito, ricordiamolo, soffia dove vuole, sta a noi coglierne l’attimo.

Quando Giosia, re d’Israele, trovò i rotoli della Legge e si avvide che il popolo aveva deviato dalla volontà del Signore, non cominciò con i “ma” i “se” e i “forse”, i “vedremo”, ma si pentì e distrusse tutto ciò che aveva contribuito all’allontanamento di Israele dal Signore, si mise in preghiera e in ascolto e ricostruì il rapporto con l’Eterno.

Dobbiamo imparare a farlo!

La nostra civiltà progredisce a tappe di rivoluzioni – se siano evoluzioni o involuzioni si può giudicare solo a posteriori -. Per sommi capi i più recenti macro cambiamenti sono stati conseguenza della scoperta dell’America, dell’invenzione della stampa a caratteri mobili, dell’illuminismo e della rivoluzione industriale.

Veri e propri “terremoti culturali” che hanno portato dei vantaggi e contemporaneamente hanno posto delle nuove domande.

Dalla seconda metà del secolo scorso ne stiamo vivendo un’altra che ha toccato quasi tutti i campi della nostra vita – etica, sociale, politica, tecnologica, sanitaria – ponendoci dei nuovi interrogativi cui, come credenti, dobbiamo saper rispondere, o almeno tentare di farlo.

Di certo non troveremo una risposta chiara e univoca nella Bibbia, perché quei temi allora non si ponevano. La Bibbia non è un “prontuario medico” della fede, ma una raccolta di principi.

Alcuni di questi temi, come il prolungamento della vita grazie alle scoperte mediche o un diverso approccio rispetto a quello dell’apostolo Paolo all’omosessualità, che ora sappiamo essere non sempre un vizio, che come tale va condannato, ma anche un fattore di nascita che va rispettato, altri hanno solo cambiato nome.

Formalmente la schiavitù è stata abolita e in Italia è un reato, ma uno schiavo pedagogo di Roma era un signore rispetto ai raccoglitori nei campi di pomodoro del foggiano.

Altri temi sono nuovi, come il concetto di guerra preventiva inventato da George W. Bush e che neanche strateghi romani come Cesare o Adriano erano riusciti a concepire, le grandi migrazioni dall’est e dal Magreb e dal vicino oriente, che ci trovano tuttora impreparati e l’etica negli affari dopo il crollo delle borse del 2009, assieme a tutti i temi etici e pratici sui quali i nostri giovani, sbandati anche dall’incertezza del loro futuro, si interrogano. Domande a cui dobbiamo saper dare una risposta per non deludere la fiducia che pongono in noi che vedono, prima che nell’Eterno che non vedono.Non sono certo temi da Bar dello Sport, ma non si può rispondere con un no aprioristico, come alcuni fanno parlando di “principi non negoziabili”. Questa è politica dello struzzo.

DISCORSI SCOMODI

26 Giu

Detesto quell’usanza nel mondo evangelico e protestante che, con un neologismo di cui mi assumo la paternità, definisco “versetteologia”, cioè l’arte di coloro che sostengono le loro tesi citando la Scrittura con versi estrapolati qua e là dal loro contesto facendo assumere loro un significato spesso molto lontano da quello inteso dagli scrittori ispirati, un po’ come i titoletti delle diverse edizioni della Bibbia.

Do per scontato, anche se purtroppo so che nella realtà non è così, che ogni credente ha una buona conoscenza della Scrittura, perché è la base della sua fede e della sua crescita spirituale.

Non si tratta di emulare gli ebrei (uomini) che a tredici anni conoscevano la Torah a memoria. I tempi e i mezzi sono cambiati e certamente non è il caso di impararne il testo a memoria. Una copia della Bibbia in italiano costa pochi euro e tutta la Bibbia, spesso in app gratuita, occupa pochi Mb in unosmartphone. Mi piace molto l’espressione dell’autore di Ebrei quando scrive “Qualcuno ha scritto in qualche parte” citando un passo di Isaia, a specificare che non sempre serve citare la fonte.

Si tratta piuttosto di conoscerne la struttura, dove e soprattutto perché trovare questo o quello. Certo, conoscere i testi fondamentali aiuta, e questo si può e si deve fare anche insegnandolo ai bambini. Perché è nostra responsabilità dare un’educazione alle nostre figlie e ai nostri figli, senza peraltro imporla.

Si tratta anche di non affidarsi ad una sola traduzione – che molti ritengono quasi ispirata – perché ha in essa tutti i limiti culturali del traduttore, che non fanno parte dell’ispirazione del testo. Così come, leggendola, se troviamo una parola ormai vecchia possiamo sostituirla con un’altra con lo stesso significato.

Il paradosso è che da Lutero in poi credenti si sono battuti per il libero esame della Bibbia, cosa non scontata in Italia fino agli anni ’70 del secolo scorso, ma quanti sono ora i credenti che la leggono con costanza e quanti, soprattutto, coloro che la studiano? Se superato lo scoglio storico-linguistico continuiamo a dire che la Scrittura è difficile, entriamo in quel gioco pericoloso che autorizza interpreti più o meno ufficiali, ma sempre detentori della verità e quindi mediatori, come gli ebrei finirono con l’autorizzare gli scribi e i farisei con le conseguenze che sappiamo.

Ritengo che vada rivisto tutto l’attuale “essere chiesa”, intesa come comunità e non istituzione.

La chiesa non è un monolite costruito da un patchwork che mette assieme i brani in cui Luca nel libro degli Atti e l’apostolo Paolo ne scrivono.

È piuttosto una realtà dinamica, mutevole nel tempo e nello spazio.

Le comunità che troviamo negli Atti e nelle lettere di Paolo ma anche l’esempio delle sette chiese dell’Apocalisse ci presentano realtà molto diverse tra loro, con stili di vita e tradizioni differenti, che trovano l’unità nella fede in Cristo dei loro membri. Il cosiddetto Concilio di Gerusalemme di Atti 15 ne è la dimostrazione. Mette infatti d’accordo il pensiero giudaico-cristiano e quello etnico-cristiano senza appiattire nessuno dei due, e dei tre divieti imposti in quell’occasione ne sopravvive solo uno, quello relativo ai disordini sessuali, che prescinde da quella decisione e dalle tradizioni più strettamente ebraiche.

In questa luce va letto ciò che Paolo scrive ai Corinzi, lettere che sono state spesso strumentalizzate per far dire all’apostolo le cose più diverse.

Qual è la discriminante per considerare alcune imposizioni superate, magari a metà, del Nuovo Testamento, cito ad esempio il velo, e altre no, come la sottomissione della donna nella comunità? In altre parole, quale legame di civiltà esiste tra il primo e il ventunesimo secolo dopo Cristo? Le donne di oggi sono ignoranti come quelle del primo secolo?

Ricordiamo piuttosto che la chiesa è stata costituita sulle realtà delle parole di Pietro, “tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Tutto il resto, anche alcune direttive di Paolo, è burocrazia, intesa come organizzazione, che viene dopo e non è detto che oggi serva. Pensiamo all’insuccesso della comunione dei beni nella chiesa di Gerusalemme e alla conseguente necessità di una colletta di sostentamento.

Gesù promise che dove due o tre sono riuniti nel suo nome sarebbe stato in mezzo a loro, questo è essere chiesa. Gli olandesi invece usano dire che un cristiano è un credente, due formano una chiesa, tre producono una divisione, ed è quello che sta succedendo anche in Italia da troppo tempo.

Lasciando da parte i grandi raduni americani di risveglio evangelico degli anni ’70 che spesso in buona fede rammentavano i movimenti hippy nel famoso raduno di Woodstock del 1969, e il fenomeno dei telepredicatori, molti dei quali ne hanno fatto un business, come in altre realtà anche la spiritualità, l’essere chiesa, ha assunto anche un’altra dimensione. Di certo non le chiese nazionaliste (chiesa d’Inghilterra, di Scozia, di Norvegia eccetera) o peggio le chiese segregazionaliste di colore tuttora esistenti negli Stati Uniti.

Ma poiché siamo umani una certa empatia, che non è quella “io son di Paolo, io di Apollo e io di Cefa” di 1a Corinzi 1 e non nega le fondamenta dell’unità ma le esprime in altro modo, va messa in conto.

Spesso si è chiesa, si è cioè comunione con credenti solo fisicamente lontani, ma con una forte unione nello Spirito, e poco importa se ci si incontra di persona solo di rado. Se Gesù – o l’apostolo Paolo – avesse avuto a disposizione i mezzi di comunicazione e i Social Media di oggi li avrebbe certamente usati. Lo Spirito, ricordiamolo, soffia dove vuole, sta a noi coglierne l’attimo.

Quando Giosia, re d’Israele, trovò i rotoli della Legge e si avvide che il popolo aveva deviato dalla volontà del Signore, non cominciò con i “ma” i “se” e i “forse”, i “vedremo”, ma si pentì e distrusse tutto ciò che aveva contribuito all’allontanamento di Israele dal Signore, si mise in preghiera e in ascolto e ricostruì il rapporto con l’Eterno.

Dobbiamo imparare a farlo!

La nostra civiltà progredisce a tappe di rivoluzioni – se siano evoluzioni o involuzioni si può giudicare solo a posteriori -. Per sommi capi i più recenti macro cambiamenti sono stati conseguenza della scoperta dell’America, dell’invenzione della stampa a caratteri mobili, dell’illuminismo e della rivoluzione industriale.

Veri e propri “terremoti culturali” che hanno portato dei vantaggi e contemporaneamente hanno posto delle nuove domande.

Dalla seconda metà del secolo scorso ne stiamo vivendo un’altra che ha toccato quasi tutti i campi della nostra vita – etica, sociale, politica, tecnologica, sanitaria – ponendoci dei nuovi interrogativi cui, come credenti, dobbiamo saper rispondere, o almeno tentare di farlo.

Di certo non troveremo una risposta chiara e univoca nella Bibbia, perché quei temi allora non si ponevano. La Bibbia non è un “prontuario medico” della fede, ma una raccolta di principi.

Alcuni di questi temi, come il prolungamento della vita grazie alle scoperte mediche o un diverso approccio rispetto a quello dell’apostolo Paolo all’omosessualità, che ora sappiamo essere non sempre un vizio, che come tale va condannato, ma anche un fattore di nascita che va rispettato, altri hanno solo cambiato nome.

Formalmente la schiavitù è stata abolita e in Italia è un reato, ma uno schiavo pedagogo di Roma era un signore rispetto ai raccoglitori nei campi di pomodoro del foggiano.

Altri temi sono nuovi, come il concetto di guerra preventiva inventato da George W. Bush e che neanche strateghi romani come Cesare o Adriano erano riusciti a concepire, le grandi migrazioni dall’est e dal Magreb e dal vicino oriente, che ci trovano tuttora impreparati e l’etica negli affari dopo il crollo delle borse del 2009, assieme a tutti i temi etici e pratici sui quali i nostri giovani, sbandati anche dall’incertezza del loro futuro, si interrogano. Domande a cui dobbiamo saper dare una risposta per non deludere la fiducia che pongono in noi che vedono, prima che nell’Eterno che non vedono.Non sono certo temi da Bar dello Sport, ma non si può rispondere con un no aprioristico, come alcuni fanno parlando di “principi non negoziabili”. Questa è politica dello struzzo.

STORIA DELLE RELIGIONI

26 Mag

Se qualcuno avesse ancora qualche dubbio sull’utilità e l’urgenza di un corso di storia delle religioni nella scuola italiana, non solo per conoscere gli islamici, il sottotilo di questo articolo lo scaccia.

L’Italia non ha vissuto la Riforma e molti conoscono, forse, Martin Luther solo come primo e secondo nome di King, peraltro pastore battista, ma siamo comunque nell’ambito del cristianesimo e per quella mezza paginetta sui libri di scuola si dovrebbe sapere che i protestanti e gli evangelici non hanno preti e non dicono Messa.

A margine, perché associare necessariamente internet alla pornografia?

A PROPOSITO DI VELO

16 Mag

Scritto l’anno scorso ma la domanda è sempre attuale, perché il velo non è solo quello islamico.

Dopo le polemiche che hanno investito la questione del velo islamico a scuola in provincia di Udine, mi lascia perplesso questa danza eseguita in una puntata delle Invasioni barbariche di Daria Bignardi.
Una suora (non aggiungo “una bella donna” per rispetto alla sua scelta di vita) che mentre danza ha il capo scoperto e i capelli sciolti e svolazzanti e quando si siede riveste il suo ruolo e si mette il velo.
Nel cristianesimo l’apostolo Paolo affronta l’argomento nel capitolo 11 della 1.a lettera ai Corinzi. Non ne fa una questione di sottomissione di genere, come più tardi sarà per l’islam, ma di comportamento sociale. Corinto, per chi non lo sapesse, era una città di facili costumi (gran parte della lettera verte su questo) e la donna sposata doveva portare il velo come segno di rispetto al suo capo (marito nella società di allora), ma anche per far capire chiaramente che era sposata, un po’ come fanno oggi la maggior parte delle mogli portando la fede al dito (un po’ meno gli uomini, che la portano alla catenina al collo se fanno lavori manuali).
Parlar di velo nel ventunesimo secolo, quindi non ha alcun senso, se non quello di seguire passivamente una tradizione. Quanto sarebbero più comunicative le suore, come tutte le altre donne, senza questa imposizione?

LETTERE PATENTI

17 Feb

Se nelle scuole italiane si studiasse la storia delle religioni, come da più parti richiesto, molti saprebbero che oggi è l’anniversario delle Lettere Patenti, con le quali il 17 febbraio 1948, praticamente l’altro ieri,  il re Carlo Alberto di Savoia concesse, per la prima volta nella storia del Piemonte, i diritti civili alla minoranza protestante valdese, seguiti, nei giorni successivi da quelli concessi anche ai cittadini di religione ebraica.

Così come sarebbe utile rammentare, tra le altre, le date del 31 ottobre 1517,  del 17 febbraio 1600, del 20 settembre 1870 e dell’11 febbraio 1929.

MADRE DI DIO?

1 Gen

Fino al 431 (concilio di Efeso) Maria di Nazareth non era la madre di Dio.

Come sempre ognuno è libero di pensarla come vuole.

RISPETTO

8 Dic

In questo mese l’Agcom si è attivata, o i palinsesti di tutte le reti Rai saranno stravolti per un anno??

INFORMAZIONE PLURALISTICA

QUESITO

8 Dic

Cosa sapete dell’immacolata concezione, che fino all’8 dicembre 1854 non è esistita, oltre al fatto che è un giorno festivo?

TRADIZIONI

8 Dic

Secondo la Bibbia la responabilità del peccato è sempre e solo personale. Quindi non esiste il concetto di “peccato originale”, che alcuni hanno visto nell’atto sessuale né, di conseguenza, può esistere un'”immacolata concezione”.

 

PERDONO DEI PECCATI

7 Dic

Giubileo, i missionari della Misericordia. Mal si conciliano con le affermazioni di Gesù.

“Ed entrò di nuovo a Cafarnao dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta, ed egli annunziava loro la parola. Si recarono da lui con un paralitico portato da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono il lettuccio su cui giaceva il paralitico. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: “Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati”. Erano là seduti alcuni scribi che pensavano in cuor loro: “Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?“. Ma Gesù, avendo subito conosciuto nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: “Perché pensate così nei vostri cuori? Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino – disse al paralitico – alzati, prendi il tuo lettuccio e va a casa tua”. Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti e tutti si meravigliarono e lodavano Dio dicendo: “Non abbiamo mai visto nulla di simile!”. (Marco 2:1-12, enfasi mie).

Poi, si sa, ognuno la pensa come vuole.